Si riaccende a Hong Kong la “protesta degli ombrelli”, il simbolo di quanti sostengono l’autonomia dal governo centrale cinese. Migliaia di dimostranti sono scesi in piazza dopo che da Pechino è arrivato l’annuncio di un prossimo intervento nella disputa apertasi nella ex colonia britannica intorno al provocatorio giuramento di due neo deputati indipendentisti, perché rappresenta “una minaccia alla sicurezza nazionale”.
Tutto è iniziato il 12 ottobre scorso, quando, alla prima riunione del Parlamentino di Hong Kong, Sixtus Leung, 30 anni, e Yau Wai-ching, 25, del gruppo Youngspiration, esibirono striscioni con la scritta “Hong Kong non è Cina” e storpiarono il giuramento di rito ricorrendo a insulti verso la Repubblica popolare cinese. Le proteste pro e contro il gesto dei due stanno di fatto bloccando i lavori del parlamento.
Leung e Yau erano stati eletti il 4 settembre scorso, quando nel parlamento di Hong Kong sono entrati parecchi deputati dei gruppi pro-democratici favorevoli all’indipendenza dalla Cina. Lo scorso 26 ottobre a manifestare erano stati i cosiddetti “pro establishment”, vale a dire i sostenitori pro Pechino. In quella occasione avevano tentato di impedire l’ingresso in aula ai due deputati ai quali il giorno prima il presidente dell’Assemblea Legislativa, Andrew Leung Kwan-yen, aveva vietato di partecipare ai lavori. I due deputati erano riusciti a entrare grazie all’aiuto di altri otto colleghi ma poi il presidente del Parlamento aveva sospeso la seduta a causa della confusione venutasi a creare mentre all’esterno della sede dell’Assemblea continuava la protesta contro i filo-indipendentisti con slogan denigratori e striscioni offensivi.
Il Congresso nazionale del popolo ha ora stabilito che Pechino debba intervenire contro i fautori dell’indipendenza, che non dovrebbero entrare in Parlamento malgrado siano stati eletti in maniera democratica, definendo le loro azioni ‘una minaccia alla sicurezza nazionale’. Parole che non lasciano presagire nulla di buono, visto che solitamente vengono utilizzate per definire i dissidenti tibetani. Secondo gli indipendentisti invece la posizione di Pechino minerebbe l’autonomia di Hong Kong e il suo sistema giudiziario perché la prossima settimana la Corte dell’ex colonia deve pronunciarsi sulla possibilità che i due deputati prestino un nuovo giuramento. Dunque l’intervento di Pechino scavalcherebbe le decisioni della Corte. Per questo motivo alla manifestazione, alla quale secondo la Polizia avrebbero partecipato 13.000 persone, erano presenti anche molti esponenti pro-democratici che non sostengono l’indipendenza ma temono che il governo centrale mini l’autonomia giudiziaria di Hong Kong. La protesta era stata promossa da un gruppo di giuristi che volevano sfilare in silenzio vestiti di nero. A loro si sono però unite migliaia di persone, molte delle quali con gli ormai caratteristici ombrelli gialli che avevano caratterizzato la protesta pro democrazia del 2014. Il corteo è sfilato fino all’Ufficio di collegamento, massima rappresentanza del governo di Pechino, dove si sono registrati anche tafferugli con la polizia.