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La vera eredità dell’era Merkel

Con la scelta di Armin Laschet alla guida della Cdu e in attesa della fine del mandato, la Germania entra già nell'era post-Merkel. Con un'eredità pesante, da condividere con l'Europa

Se i britannici coniarono per la Lady di Ferro la locuzione “thatcheriana”, i sedici anni di cancellierato di Angela Merkel costituiscono un’eccezione alle fragilità politiche dei giorni nostri, guadagnandosi il diritto, al netto delle interpretazioni, a essere considerati un’era. Come quella di Margaret Thatcher appunto, merkeliana perché così vuole il cognome. Una continuità politica rafforzata negli anni, da prima donna Cancelliere a seconda più longeva, dietro al solo Helmut Kohl.

In mezzo, tre lustri di politica votata alla costruzione di una Germania a misura d’Europa, nel solco di Adenauer e rappresentando una costante nel mutevole contesto comunitario. Il passo indietro, ancora all’apice della popolarità e senza strizzare l’occhio agli elettori della Cdu su un possibile successore (scelta caduta infine su Armin Laschet), pone fine a un’epoca. Con poco tempo, forse, per capire quale eredità lascia la Cancelliera tedesca. Al suo successore ma anche a un’Europa diversa da quella del 2005, all’inizio del suo cancellierato. Interris.it  ne ha parlato con Gianluca Niglia, docente e consulente scientifico Iai.

 

Dottor Niglia, nell’immaginario collettivo sarà difficile inquadrare una Germania senza Angela Merkel. La sua figura ha in qualche modo incarnato il volto di un’Europa che ha attraversato fasi di grande cambiamento. La chiave dell’europeismo è quella giusta per leggere l’operato di questi 15 anni?
“L’eredità di Angela Merkel è soprattutto in termini di europeismo. Ha concepito una Germania forte all’interno di un’Europa forte. Essendo andata al potere nel 2005, con un quindicennio pieno di cancellierato, si è trovata a vivere un momento di profonda turbolenza dell’Unione. Prima con la crisi economico-finanziaria del 2008-2009 e poi con una serie di spinte disgreganti che nella Brexit hanno avuto un momento emblematico, anche se non assolutizzante. E’ stato più che altro il simbolo di una serie di lacerazioni che interessavano anche alcuni Paesi dell’Europa centrale. Il tema merkeliano è del mantenimento dell’unità e sembra che ci sia riuscita. Non solo garantendo la sua leadership ma anche una transizione che vede un Parlamento europeo più collaborativo, una Commissione che ha saputo gestire l’uscita della Gran Bretagna da una posizione forte e che sembra pronta ad affrontare le sfide attuali. L’europeismo è indubbiamente la cifra del cancellierato ma anche dell’impegno merkeliano in Europa”.

In questi anni si è a più riprese parlato di un’Europa “germanocentrica”, votata a un modello tedesco che avrebbe fatto quasi da padrone. Quanto c’è di vero?
“Non sono favorevole a questa interpretazione. E’ vero che la Germania ha avuto un ruolo propulsivo all’interno dell’Unione, che ha definito le regole fondamentali ma secondo quella che ritiene una visione di corretto funzionamento normativo. Cioè di una crescita stabile, non inflazionistica e di coesione politica. Il problema non è tanto nel fatto che i tedeschi abbiano imposto le loro regole, quanto che gli altri non abbiano avuto una voce altrettanto forte e costante per affermare la loro”.

E’ anche il caso dell’Italia?
“L’Italia ha tutta una serie di dossier politici, la mediterraneizzazione dell’Unione europea ad esempio… Non ci si può aspettare che sia la Germania a portare avanti questi temi. Questa immagine della Germania dominante rispecchia l’incostanza di altri Paesi nel portare avanti le loro politiche. Con l’eccezione della Francia, che ha però una visione più ‘nazionalista’ dell’Europa”.

Su un piano interno, il cancellierato di Angela Merkel ha sperimentato, soprattutto nei primi anni, una forte crescita a livello industriale. Anche in questo caso si è parlato di modello tedesco, forse con più attinenza…
“C’è un modello tedesco ma che aveva già impostato Gerhard Schroder e che Merkel ha saputo traghettare verso un’economia più in linea con i tempi. Il tema dello sviluppo è più legato al lungo periodo ma Merkel ha saputo assecondarlo, con un’economia centrata sulle esportazioni e che guarda alle tecnologie crescenti”.

Quattro mandati, quasi un ventennio. Numeri importanti per una politica mutevole come quella odierna. In un’Europa che è cambiata molto, fra politiche di allargamento, governi sovranisti e scissioni eccellenti, Merkel sembra aver rappresentato un caposaldo politico, una leadership di riferimento in un contesto che cambiava…
“Sono assolutamente d’accordo. La Merkel va al potere quando si è appena compiuto l’allargamento del 2004. Di lì a breve si sarebbe compiuto l’allargamento del 2007, che avrebbe dato all’Unione europea un gruppo più ampio. Questo ha portato all’interno delle identità diverse fra loro: certamente l’ha arricchita ma anche complicato. Qui, secondo me, c’è il contributo tedesco ma l’allargamento così esteso rilancia la centralità dei membri fondatori, soprattutto Germania, Francia e Italia. E’ un discorso in cui Berlino ha avuto una maggiore capacità di tessere e di costruire”.

In che senso?
“L’Europa, verso la quale ci siamo allargati, è quella più limitrofa rispetto al mondo tedesco. E’ anche vero che la presenza di Angela Merkel ha dato una continuità politica che le ha dato modo di esprimere anche una proposta politica, sull’Europa e sui problemi derivanti dall’allargamento”.

Anche la scelta di Armin Laschet alla guida della Cdu è nel segno della continuità?
“Penso di sì. Laschet è la figura, fra quelle che si erano affermate sulla scena, che maggiormente è in linea di continuità con Angela Merkel. Ci sono una serie di punti interrogativi. E’ vero che Merz è stato sconfitto ma quella che possiamo definire l’ala conservatrice della Cdu che trova una sponda nel mondo bavarese della Csu., in realtà non è cancellabile. Questo sarà un tema che non metterà in dubbio la linea di Laschet ma che lo costringerà a un confronto più serrato con l’ala che, sostanzialmente, si opponeva ad Angela Merkel. Potenziali complicazioni relative alle dinamiche interne di partito”.

Una Germania senza Merkel potrebbe prestare il fianco alla risalita delle ultradestre, che hanno ricevuto consensi crescenti nelle ultime tornate elettorali?
“E’ vero che la Germania ha la capacità di metabolizzare le spinte a destra all’interno del partito dominante. Certo è che tutti i candidati che si sono presentati per la successione di Merkel, hanno detto che con AfD non ci sarebbero stati legami. L’ultradestra sembra condannata a essere ancora il polo escluso”.

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