E’ certamente una delle chiese romane piĆ¹ note, San Pietro in Vincoli. Edificata sul colle Oppio, in pieno Rione Monti, gode del rango di basilica minore e, dalla sua nascosta piazza, risulta ben visibile la torre del Campidoglio, assieme a un piccolo scorcio del Vittoriano. Un luogo raccolto ma, senza dubbio, meta ogni anno di migliaia di visitatori, attratti dal reliquiario contenente le catene che, secondo la tradizione, ghermirono l’apostolo Pietro durante la prigionia subita a Gerusalemme su ordine del re di Giudea,Ā Erode Agrippa. Eppure, al di lĆ del nome che, evidentemente, riporta alla suddetta reliquia, gran parte della fama della basilica ĆØ legata al suo ruolo di custode di una delle maggiori opere dell’arte rinascimentale: il monumento funebre di Papa Giulio II,Ā straordinaria opera diĀ Michelangelo corredata dal capolavoro scultoreo del MosĆØ.
LaĀ storia della Basilica
Ma il tocco quattro-cinquecentesco offerto dall’artista fiorentino non ĆØ che una (pur straordinaria) tappa nella lunga e complessa storia di San Pietro in Vincoli, iniziata nel lontano IV secolo d.C. e proseguita fino ai nostri giorni. Don Giuseppe, che esercita il suo ministero nella basilica da circa 10 anni, ci guida attraverso i trascorsi storici dell’edificio religioso il quale sorge sui resti di un complesso urbanistico (identificabile come una domus)Ā risalente al III secolo circa: “Il sotterraneo ha un’estensione piuttosto ampia – spiega a In Terris – ma la soprintendenza consente l’accesso solo agli studiosi. Scendendo a osservarli, quei resti potrebbero non dire nulla, mentre vederli dall’alto fa un altro effetto. Esistono anche dei disegni che riproducono quel luogo e, forse, dicono molto di piĆ¹ di quello che si puĆ² vedere. Ricostruiscono quella che era questa parte antica”. Della chiesa che fu non resta molto ma in effetti qualcosa ĆØ ancora visibile: “La facciata interna risale al IV-V secolo – dice ancora il sacerdote – e risulta essere la parte piĆ¹ antica, la testimonianza di quella che possiamo chiamare la basilica paleocristiana.Ā Poi questa chiesa iniziale ĆØ andata distrutta e, nel V secolo, si ĆØ costruita quella attuale”.
Dalle origini al ‘700
Una chiesa che, non diversamente dalla maggioranza delleĀ altre situate nel centro di Roma, si dispone a croce latina, con due navate laterali, separate dalla centrale da un fila di 10 colonne. Un colonnato che, a quanto pare, ha subito una riduzione nel numero di pilastri nel corso dei secoli: “Nell’edificio antico c’erano 15 colonne per parte ma perchĆ© mancava il transetto. Sono interessanti: hanno fatto degli studi su di esse e,Ā probabilmente, provengono da un’isola greca”. Non si tratta di una chiesa particolarmente ricca di opere d’arte (ovviamente non considerando il suddetto complesso funerario realizzato da Michelangelo), fa notare il prete: due opere del Guercino (la pala di “Santa Margherita di Antiochia” e “Sant’Agostino”) assieme alla “Deposizione di Cristo” attribuita al Pomarancio sono le raffigurazioni pittoricheĀ di maggior rilievo alĀ suo interno. Eppure, qualche curiositĆ artistica c’ĆØ: “Nella navata di sinistra abbiamo un mosaico risalente al VII secolo, nel quale ĆØ raffigurato San Sebastiano. Stranamente, l’icona non riporta l’abituale immagine del martirio del santo, eppure pare che questo sia l’originale. Fu ilĀ PapaĀ a volere qui il mosaico, come voto per respingere la peste del 680″. Anche il soffitto possiede una sua storia che, rispettando i canoni architettonici delle grandi basiliche, era inizialmente “a capriata, voluto cosƬ dal cardinale Nicola Cusano, titolare della chiesa, eĀ tale ĆØ rimasto fino al 1700. Oggi ne restano due travi (appese sulle mura della navata di destra, ndr), sulle quali sono peraltro riportate delle iscrizioni. Poi, nel ‘700, il nuovoĀ cardinale titolare fece fare il soffittoĀ attuale, affrescato al centro dal Parodi con la rappresentazione della guarigione di un uomo da un possesso diabolico attraverso il contatto con le catene”.
I vincoli di San Pietro
La parte absidale, comprensiva dell’altare e degli affreschi retrostanti, ĆØ di datazione piuttosto recente: “L’altare fu pensato per commemorare i 50 anni di sacerdozio di Pio IX. Questa intera sezione ĆØ databile attorno al 1860. Sulla parete dell’absideĀ ci sono questi tre affreschi: sulla sinistra abbiamoĀ la Liberazione di San Pietro dal carcere; al centro ĆØ raffigurata l’imperatrice Licinia Eudossia che riceve le catene dal patriarca di Gerusalemme; su quello di destra,Ā poi, la consegna di queste al Papa”. Una ricostruzione per immagini che, fra le trame artistiche, racchiude secoli di tradizione e devozione legati al culto della reliquia: “Per quanto riguarda la storia di queste catene, siamo nella tradizione: nessuno puĆ² dire con esattezza se siano le catene che davvero imprigionarono San Pietro. Ma, a prescindere dall’interpretazione che ognuno puĆ² darne, certamente possiedono un valore storico. Il fatto di essere inserite in questo spazio religioso, implica una motivazione non soltanto culturale ma anche di fede. Questa ĆØ una cosa che non si costruisce, ĆØ un fatto interiore. Sono stati fatti degli studi sulle catene ma ognuno puĆ² interpretarle a sua discrezione. Indipendentemente dal fatto religioso, le tradizioni hanno un ruolo importantissimo“.
Il “MosĆØ” di Michelangelo
Questa basilica contiene al suo interno una delle opere piĆ¹ famose di Michelangelo Buonarroti: il “MosĆØ”. Scolpita tra il 1513 e il 1515, la statua fa parte del complesso marmoreo di quella che doveva essere la tomba di Papa Giulio II (sepolto nelle grotte vaticane). Il progetto originario contava un gruppo scultoreo comprendente MosĆØ, San Paolo e le personificazioni della “vita attiva” e della “vita contemplativa“. A cavallo tra il 1513, dopo la morte del Papa, e il 1516, il progetto venne ridimensionato. Fu in questo periodo che Michelangelo scolpƬ la statua. I documenti dell’epoca raccontano che la sculturaĀ subƬ una “torsione” 25 anni dopo la creazione. L’artista girĆ² la testa del MosĆØ dopo il marzo del 1542. L’imponente barba ĆØ tirata verso destra (se la torsione si fosse realizzata a sinistra sarebbe venuto a mancare il marmo per rifarla perpendicolare come era nella prima versione), il trono su cui ĆØ seduto il personaggio biblico ĆØ stato abbassato a sinistra di 7 centimetri, mentre per appoggiare indietro il piede sinistro, MichelangeloĀ ĆØ stato costretto a stringere il ginocchio di cinque centimetri, rispetto a quello destro.
Una statua leggendaria
Il profeta viene rappresentato in posizione seduta, con la testa rivolta a sinistra, il piede destro posato per terra e la gamba sinistra sollevata con la sola punta del piede che poggiaĀ sulla base. Il braccio sinistro ĆØ lasciato liberoĀ sul grembo, quello destro regge le tavole della Legge, mentre la mano sinistra arriccia la lunga barba. Curiosamente, le tavole risultano rovesciate, come se fossero scivolate dalla presa di MosĆØ. Celebre il suo sguardo, definito “terribile“. La maggior parte degli studiosi concorda nell’interpretare quegli occhi come un’espressione del carattere di Michelangelo: irascibile, orgoglioso e severo. Per questa statuaĀ ĆØ stato coniato il termine “terribilitĆ “. Per il MosĆØ, l’artista di Caprese, si rifĆ a modelli quattrocenteschi (come il San Giovanni Evangelista di Donatello) e di epoca classica (come il Torso Belvedere). Le corna sul capo, tipiche dell’iconografia di “MosĆØ”, sono probabilmente dovute ad un errore di traduzione del Libro dell’Esodo, doveĀ si narra che MosĆØ, scendendo dal Sinai, avesse due raggi di luce sulla fronte. L’ebraico “karan” o “karnaim”, che significa “raggi”, potrebbe essere stato confuso con “keren”, ovvero “corna“.
“PerchĆØ non parli?”
AĀ questa scultura ĆØ legato l’aneddoto secondo il quale Michelangelo, contemplandola al termine delle ultime rifiniture, stupito dal realismo delle sue forme, in un impeto di rabbia, abbia esclamato “PerchĆ© non parli?“, percuotendo il ginocchio con il martello che impugnava.Ā Riferendosi alla barba,Ā il Vasari disse che ĆØ scolpita con una perfezione tale da sembrare piĆ¹ “opera di pennello che di scalpello“. Secondo la fantasia popolare, nella barba del MosĆØ, sotto il labbro inferiore, leggermente a destra, Michelangelo avrebbe scolpito il profilo di Papa Giulio II e una testa di donna.
Michelangelo, scultore della luce
Di recente, sulla maestosa tomba di Giulio II, ĆØ tornatoĀ splendere il sole. Grazie ad un gioco di luci suggestivo, realizzato da Mario Nanni, utilizzando tecniche informatiche e lampade a led, in grado di restituire i colori e l’intensitĆ della luce naturale di Roma, ora ĆØ possibile ammirareĀ i colori del marmo di Carrara scelto e scolpito dal maestro nel XVI secolo. La nuova illuminazione rivela cosƬ un Michelangelo scultore non solo del marmo, ma anche della luce. Obiettivo dell’iniziativa, ideata dalla Soprintendenza per i Beni Culturali, ĆØ quello di restituire le condizioni in cui la tomba venne creata. Condizioni negli anni completamente cambiate, anche a causa della chiusura di una finestra, alla destra del MosĆØ, nell’Ottocento.Ā “Il progetto – ha spiegato Mario Nanni – parte dalla possibilitĆ di interpretare la luce naturale che entra dentro la chiesa. Ho dato al MosĆØ una luce divisa in quattro atti, quella dell’aurora, dell’alba, quella del tramonto e quella del crepuscolo, in modo da avere una resa cromatica che sfuma dagli arancioni ai rossi e che si integra con la luce naturale”.