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San Girolamo della Carità, scrigno del barocco nel cuore di Roma

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Nel cuore di Roma, a due passi dalla centralissima piazza di Campo de’ Fiori, sorge la chiesa di San Girolamo della Carità, un vero e proprio scrigno dell’arte barocca. Al suo interno si fondono arte e spiritualità sulle orme di due tra i più grandi santi della Chiesa. La tradizione vuole che nel luogo dove sorge oggi il tempio barocco vi soggiornò San Girolamo, chiamato a Roma da Papa Damaso nel 382, ospitato nella domus di una nobile matrona dell’epoca.

L’edificio cinquecentesco

Fu un tempo collegiata, poi venne gestita dai frati francescani fino al 1536, anno in cui si trasferirono nella basilica di San Bartolomeo, sull’isola Tiberina. Papa Clemente VII la concedette allora ad una compagnia di nobili forestieri, la quale prese il titolo “della carità”, poiché la spiritualità di questa confraternita era proprio il prodigarsi alle opere di misericordia. In questa comunità vi entrò, nel 1551, San Filippo Neri, che vi dimorò per ben trentatré anni. Nelle sale attigue venne creato il primo oratorio della storia. Ancora oggi è possibile visitare le stanze nelle quali visse San Filippo, sale in cui si intrattennero altri grandi personaggi del mondo ecclesiastico del secolo XIV, quali Carlo Borromeo, Ignazio da Loyola e frà Felice da Cantalice.

Il restauro in stile barocco

A seguito dell’incendio del 1631, furono necessari lavori di ristrutturazione dell’intero complesso. Durante questi interventi, le navate laterali venne trasformate in cappelle. Degne di nota sono soprattutto la Cappella Antomoro, opera dell’architetto Geronimo Caccia, e la Cappella Spada, frutto della collaborazione tra Virgilio Spada, oratoriano, l’architetto Francesco Righi e l’artista Francesco Borromini.

La “Cappella Antomoro”

La Cappella Antomoro, dedicata a San Filippo Neri, è l’unica opera romana di Filippo Juvarra, attivissimo collaboratore di Carlo Fontana. Originariamente era a pianta rettangolare. A cavallo tra il 1600 e il 1700 venne modificata da linee curve e angoli smussati per permettere l’introduzione di quattro colonne in diaspro sormontate da capitelli di stile compositi. Si ha così l’impressione di uno spazio più ampio, grazie anche al perfetto bilanciamento dei volumi. Nelle pareti laterali, abbellite da marmi policromi, vi sono due porte con battenti in legno scolpito a forma di sfinge, entrambe decorate con fregi in metallo dorato. L’altare, rivestito da marmi verdi, è sormontato da un enorme base in alabastro sopra la quale è posta la statua in marmo di San Filippo neri, opera di Pierre II Le Gros, a cui si devono anche i bassorilievi che ornano il soffitto. Al centro della volta si apre un lanternino con al centro la statua della colomba, simbolo dello Spirito Santo. Il pavimento presenta un enorme cartiglio di marmi intarsiati.

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La “Cappella Spada”

Dedicata a Santa Maria Liberatrice, la Cappella Spada venne in ideata nel 1654. Il nome dello spazio deriva da un’immagine della Madonna con il Bambino risalente al XV secolo. L’affresco è coronato da una cornice in bronzo dorato, e inscritto in una duplice ghirlanda ellittica in marmo. Ai lati dell’altare sono posti delle mensole con sopra delle urne in marmo con le funzione di reliquiario. l’elemento più originale della Cappella, e di tutta la chiesa, è senza dubbio la balaustra. Rappresenta una tovaglia eucaristica realizzata in diaspro “sanguigno” sorretta da due angeli di marmo inginocchiati, opera di Antonio Giorgetti, allievo di Bernini.

Le opere di Bernini e Domenichino

Pellegrini e turisti sono poi attratti dalla pala che orna l’altare maggiore. Si tratta del celebratissimo quadro del Domenichino rappresentante la comunione di San Girolamo, oggi uno degli ornamenti della pinacoteca vaticana. Al suo posto una copia. La Comunione di San Girolamo costituisce il primo riconoscimento di rilievo ottenuto a Roma dal pittore bolognese e suscitò, tranne rare eccezioni, i consensi entusiastici dei contemporanei, che lo considerarono tra i capolavori dell’arte italiana. Il tema, assai raro, è quello di S. Girolamo che, ormai novantenne, giunto in punto di morte volle prendere l’ultima comunione circondato dai suoi discepoli e da S. Paola. Domenichino si ispirò a un quadro dipinto dal suo maestro Agostino Carracci dieci anni prima.

Fabio Beretta: