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L'arte sul Lido, Schnabel dipinge Van Gogh

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E'già passata qualche ora dal suo passaggio nelle sale del Lido ma il possente ritratto di At Eternity's gate continua ad affascinare almeno quanto il carisma di Willem Dafoe nei panni di Vincent Van Gogh. Straordinariamente somgiliante sul lato estetico, il pittore di Julian Schnabel (al ritorno alla regia dopo 8 anni) non è solo un artista e nemmeno un genio tormentato: il Van Gogh in pellicola è un uomo che cerca la libertà dalla sua condizione attraverso l'arte, sfogando nella passione per i colori la rabbia di una vita lontana da quella normalità tanto desiderata. Se “i dipinti sono lui”, come ripeteva il pittore olandese, il film è prima di tutto Julian Schnabel, lui, pittore dato al cinema e regista dato all'arte, che raccoglie oneri e onori della sfida di portare tele e colori sul grande schermo. Come il Mr. Turner di Mike Leigh non è un biopic, e lo ha detto chiaramente: non è un racconto della vita e delle opere ma un'opera essa stessa, la narrazione della pittura proiettata negli occhi e nelle mani di Van Gogh.

“Solo uno di loro…”

Certo, nella pellicola c'è tutto: c'è il rapporto conflittuale con Guaguin, quello con il fratello Theo, c'è la cittadina di Arles e c'è quell'arte che, forse, è davvero il cancello sull'Eternità così affannosamente cercato dall'artista. Schnabel sceglie di raccontare dipingendo, uscendo dai limiti imposti dalla biografia e calando il personaggio in una sorta di dimensione dipinta dai suoi stessi colori. Vince l'intimità, probabilmente il modo migliore per spiegare il virtuosismo dell'artista e i tratti frenetici e marcati dei suoi quadri, proiezione costante di un tormento interiore contro cui combattere gridando sulla tela il proprio male di vivere cercando la normalità: “Volevo solo essere uno di loro”, dice Dafoe-Van Gogh.

Non è un caso che a interpretare l'artista sia un attore come Dafoe, che fu anche poeta in Pasolini, nel film diretto da Abel Ferrara nel 2014. La capacità mimetica e trasformistica è specchio di una preparazione maniacale in perfetta simbiosi col regista-pittore Schnabel. Vedere il monologo dell'attore con la fasciatura sulla testa è un po' come osservare Autoritratto con orecchio bendato, con la sensazione di percepire quasi il suo dolore.

Mattia Damiani: