La guerra sta creando, oltre alla crisi umanitaria, anche una “emergenza cultura”. Damasco si è infatti appellata all’Unesco (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) e all’Europa per salvare beni archeologici che sono “patrimonio dell’umanità intera”.
Il governo siriano accusa apertamente la vicina Turchia, indicata non solo come “porta d’accesso per i terroristi in Siria” ma anche come “la strada più facile per far uscire dal Paese reperti pregiati”. Reperti che, assicurano da Damasco, Daesh (acronimo arabo per indicare l’Isis) vende sul mercato nero per autofinanziarsi.
A lanciare l’allarme attraverso l’agenzia Aki, è il direttore generale del ministero dei Beni culturali e del Turismo siriano con delega alla salvaguardia del patrimonio archeologico, Faisal Najati, a capo della prima delegazione di Damasco in visita ufficiale in Italia dallo scoppio del conflitto nel marzo del 2011. La delegazione è stata ospite della onlus Solid, con la quale il governo siriano sta portando avanti il progetto “I belong to” per finanziare il restauro di Palmira, sito archeologico patrimonio dell’Unesco devastato dai miliziani dello Stato Islamico.
Najati ha anche lodato il ruolo dell’Italia, da sempre pronta a collaborare con la Siria per la salvaguardia del suo patrimonio storico e culturale. Ultimo intervento in questo ambito, l’invito alla delegazione siriana alla XIX edizione della Borsa mediterranea del turismo archeologico, quest’anno dedicata proprio al restauro del sito di Palmira.