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IN MOSTRA AL BELOTTI IL MONO DI ETTORE SCOLA

La lettera dei fratelli Capone in Totò, Peppino e la malafemmena, che il regista aveva contribuito a scrivere, la sua sedia sul set dell’ultimo film, Che strano chiamarsi Federico, un telex di solidarietà a Martin Scorsese, il macinacaffè di Una giornata particolare e la macchinina rossa a pedali di La famiglia, il costume di Troisi in Il viaggio di Capitan Fracassa. Sono solo alcuni degli oggetti, che insieme a centinaia fra foto, video, lettere, dischi, sceneggiature, disegni, premi (dalle quattro nomination all’Oscar all’Orso D’argento a Berlino) tracciano il percorso di “Piacere, Ettore Scola”, la grande mostra dedicata al cineasta, aperta al 8 gennaio a Roma, al Museo Carlo Bilotti.

Un’esposizione, promossa da Roma Capitale Assessorato alla Crescita Culturale – Sovrintendenza Capitolina ai beni Culturali, prodotta da Show Eventi con Cityfest (Fondazione Cinema per Roma), per la quale il regista, scomparso a gennaio, aveva aperto ai due giovani curatori, Marco Dionisi e Nevio de Pascalis, i suoi archivi, in occasione del primo allestimento, nella sua terra natale, l’Irpinia, nel 2014. Dopo Roma, è già stata richiesta da Milano e Parigi. “Quando siamo andati a chiedergli di lavorare a una mostra su di lui, Scola ci disse subito di no, convinto che non sarebbe interessata a nessuno – spiegano i due curatori -. Poi però si è convinto, e più andavamo avanti più era contento. Ci ha anche ringraziato, ed è stato per noi il riconoscimento più grande”.
Questa, “non vuole essere una mostra radical chic ne’ di effetti speciali, ma vuole rappresentare l’essenza di Scola”.

Alla prima parte sulla carriera del regista, con l’arrivo a Roma, gli esordi al Marc’Aurelio, il debutto da sceneggiatore fino a diventare regista, se ne aggiunge una seconda, sul rapporto con i collaboratori, i premi, l’impegno politico, l’amore per il teatro. ”L’ondata di affetto, che continua, per papà da tutto il mondo ci ha sorpreso e commosso – spiega Silvia Scola, figlia del regista che ha scritto con lui otto film -. La mostra ne cattura l’umanità, l’essere stato un osservatore come pochi di questo Paese, un innovatore”.

La vedova del regista Gigliola, pensa che “Anche Ettore non avrebbe mai immaginato di ricevere tanto amore”. E soffermandosi sulla grande amicizia di Scola con Sordi, testimoniata anche nell’esposizione, ricorda quando “Alberto accettò di fare ‘Riusciranno i nostri eroi…’, solo per Ettore. Una mattina nell’albergo a Luanda (in Angola), dopo che aveva trovato un geco sulla parete, lo ritrovammo seduto davanti alla porta con il passaporto in mano, che ripeteva ‘Io parto…”.

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