Secondo le stime più disparate l’Italia ha tra il 50 e il 60% del patrimonio artistico mondiale. Ma al di là dei numeri, è un dato di fatto che gran parte delle bellezze artistiche e architettoniche sono legate direttamente o indirettamente alla Chiesa. Eppure, sono ormai numerosi gli esempi di autentiche brutture sia degli edifici sacri che delle immagini al loro interno. Insomma, la bellezza sembra essere diventata un problema. Se ne sono resi conto i vertici della Conferenza episcopale italiana che insieme al Pontificio consiglio della cultura presieduto dal cardinale Gianfranco Ravasi hanno promosso un’indagine sulla formazione del clero e degli artisti finalizzata alla “committenza di opere d’arte per il culto cristiano”. Il progetto “Educarsi alla bellezza” è un sondaggio on line che inizia oggi e terminerà il 18 febbraio nel quale saranno coinvolti circa 600 soggetti appartenenti a diocesi, ordini religiosi, fondazioni, confraternite e al mondo accademico, ma che, essendo una piattaforma aperta (all’indirizzo https://iscrizioni.chiesacattolica.it/educarsibellezza) è raggiungibile da chiunque sia interessato.
Qual è l’obiettivo? Prima di tutto formare il clero (seminaristi, sacerdoti, religiosi e vescovi) “chiamato sia a tutelare e valorizzare i beni storico-artistici” esistenti nelle chiese, sia “soprattutto farsi committenti di nuovi edifici di culto e di opere d’arte”. Poi formare gli artisti di varie discipline (pittori, scultori, musicisti, orafi, architetti) coinvolti nella realizzazione di opere destinate ai luoghi di culto e alla liturgia. Infine, formare gli operatori pastorali e culturali che devono facilitare la fruizione dei beni culturali che si trovano nelle chiese.
Tra i motivi che vengono spesso addotti per “giustificare” la bruttezza di certe chiese o dei loro arredi sacri c’è quello economico. In pratica, si sostiene che è meglio “risparmiare” sugli edifici per destinare i soldi ad opere di bene.
Non c’è il rischio di una visione pauperista negativa? In Terris lo ha chiesto al cardinale Ravasi.
“Questo è indubbiamente un tema molto rilevante, significativo. Non dobbiamo considerare la bellezza, l’estetica quindi, come le belle chiese, l’arte, gli edifici di culto significativi, come qualcosa che si aggiunge tanto per poter dare qualcosa di esteriore, dimenticando quanto il corpo degli uomini e delle donne che soffrono sia molto più importante, sia il vero tempio di Dio. E’ un’alternativa che non deve esistere perché anche il povero ha diritto ad avere una bellezza in cui vivere. E’ una cosa negativa, per esempio, che i condomini perché sono destinati a gente modesta debbano essere realizzati senza alcun criterio architettonico ma debbano essere puri e semplici luoghi in cui ritrovarsi per dormire. E’ un aspetto che bisogna inserire nella convinzione comune. C’è un proverbio indiano, molto suggestivo, che dice se tu hai due pani, uno dallo al povero, l’altro vendilo, compra un fiore e dallo al povero. Il povero ha diritto anche al fiore”.
L’arte in qualche modo è un dialogo con Dio, è un’espressione della fede. C’è ancora questo senso nei cristiani di oggi?
“Purtroppo nel secolo scorso si è consumato un divorzio totale tra l’arte e la fede. Divorzio non solo con l’arte contemporanea ma anche con il passato, per cui molti fedeli non erano più abituai, come avveniva per esempio nel Medioevo, a leggere la Bibbia sulle pareti, ad avere quella Biblia pauperum, a contemplare anche gli spazi che erano stati ereditati. Rieducare alla bellezza è fondamentale. Ma soprattutto è importante ricordare che arte e fede strutturalmente, quando sono autentiche, sono sorelle perché hanno il compito di manifestare il trascendente, non di spiegare e rappresentare il reale così com’è nella sua brutalità; perfino di trasformarlo, di trovare in esso un senso. Diceva Paul Klee, grande pittore del secolo scorso: l’arte non mostra il visibile ma l’invisibile che è nel visibile. Questo è il compito anche della fede: non è mostrare l’invisibile? La scoperta di Dio? Per questo arte e fede tra di loro hanno almeno una base comune e dobbiamo cercare in tutti i modi di riuscire ancora a rimetterle insieme, a far stringere loro entrambe le mani”.
Come si recupera questo dialogo, questo rapporto tra arte contemporanea e fede?
“Proprio attraverso esperienze di questo genere, con un’analisi della situazione attuale, accurata, che mostri tutto ciò che si fa ma anche tutto ciò che manca, e dall’altra parte cercare di cominciare ad avere il coraggio di far ripartire la committenza di opere, di proporre opere secondo i nuovi modelli artistici, cercare cioè di ricordare che investire anche dei beni della Chiesa per una chiesa che sia un luogo di accoglienza, di intimità religiosa e spirituale fa parte della pastorale come dare il pane e sostenere le persone, tante, che sono in difficoltà”.
Alla presentazione dell’iniziativa è intervenuto anche mons. Nunzio Galantino. “La bellezza è una via di crescita umana e spirituale delle persone” ha detto tra l’altro il segretario della Cei, ricordando la stretta collaborazione con i Carabinieri nella tutela del patrimonio artistico e lo sforzo di valorizzare le numerose iniziative delle diocesi italiane in questo settore, anche attraverso il portale viedellabellezza.it. “L’attenzione alla bellezza – ha concluso l’arcivescovo – non è solo opportunità di conservazione ma è un’occasione formativa ed educativa”.
Il card. Ravasi ha sottolineato questo concetto, evidenziando che “la tradizione non è una pietra preziosa da custodire gelosamente; è piuttosto un tronco, grande, saldo ma che si ramifica” spiegando che occorre trovare il giusto equilibrio tra conservazione e fruizione, senza “rincorrere freneticamente il nuovo. Ci sono esempi bellissimi di architettura di chiese contemporanee gradite al popolo. Penso alla parrocchia di Dio Padre Misericordioso a Tor Tre Teste, opera di Meier. I fedeli sono orgogliosi che vengano i turisti, soprattutto stranieri, a visitare una struttura importante per la storia dell’architettura. Ma lo stesso accade nel mio paese, Merate, con la chiesa realizzata da Botta o con quella di S. Maria a Marco, in Portogallo, ideata da Alvaro Siza. Però l’architettura contemporanea ha purtroppo prodotto anche una bella antologia di chiese brutte e liturgicamente sgrammaticate. Per dirla con padre Turoldo, “garage sacrali dove i fedeli sono parcheggiati davanti a Dio”.