Un decennio “breve”, quello che va concludendosi, così come fu breve il secolo che ha portato l'umanità nell'era della globalizzazione. Forse, pur con un deficit di novant'anni, non è poi un paragone così azzardato quello fra un secolo e una decade, perché il passo dal 2000 a oggi è stato più che mai spedito, con la capacità, da un anno all'altro, di fagocitare eventi e momenti di portata storica, riducendo il tutto a una mera pagina della grande community dell'umanità in rete. In fondo, gli Anni 10 in eredità lasciano un mondo sempre più connesso, una globalizzazione così radicata nella quotidianità umana da richiedere quasi il ripristino di qualche limite, laddove l'avanzare dei secoli li aveva via via rimossi. E' un uomo che guarda occhi negli occhi la storia quello del 2020, imprimendo l'ambigua forza del commento dove secoli di maturazione culturale avevano imposto quella della ragione. E' così che il decennio che va in archivio lascia dietro di sé un mondo in cambiamento continuo, capace di entusiasmarsi più per la progressione tecnologica della telefonia mobile e l'avvento delle serie tv che di stupirsi per tre governi caduti in sette anni o per l'impeachment di un presidente americano, terzo caso in assoluto nella storia degli Stati Uniti. Ma anche delle dimissioni di un Pontefice, davvero una pagina di storia in diretta tv, con Benedetto XVI che sceglie di rimettere il suo incarico al Soglio di Pietro, aprendo la strada all'elezione di Papa Francesco e a una nuova stagione per la Chiesa.
Benedetto XVI al momento della rinuncia al Soglio Pontificio. Papa Francesco il giorno dell'elezione (2013)
L'ascesa del terrore
C'è una sorta di abitudine al cambiamento, tanto che non è più quello a far paura, considerato ormai un decorso naturale delle cose, senza badare troppo alla sua fretta. Accade così che, a fronte di un decennio precedente in cui il giro di boa si ebbe all'inizio, con gli attentati dell'11 settembre, costringendo l'umanità a guardare con sospetto al millennio appena cominciato, il 2010 segna l'inizio di un'epoca in cui l'interconnessione mondiale azzera le barriere, aprendo allo scontro ideologico sugli eventi che si susseguono. Il terrore del dopo-World Trade Center si concretizza con le primavere arabe, che aprono il decennio seguente ridisegnando la geografia (e la geopolitica) del Medio Oriente: la Siria insorge contro Assad, avviando un conflitto che ancora oggi logora la popolazione civile, la Libia si solleva contro Gheddafi, ponendo fine al regime del Rais così come qualche anno prima in Iraq si pose fine a quello di Saddam. Nelle maglie scoperte del nuovo assetto mediorientale si inserisce Abu Bakr al-Baghdadi, che nel 2014 dichiara la nascita del sedicente Stato islamico, segnando il ritorno di una forza armata che fa proseliti in Europa e crea enclavi nel Vicino Oriente, tentando di cancellarne la memoria storica. Ne fa le spese la città di Palmira, vittima della cultura iconoclasta di daesh, che non disdegna di diffondere il terrore attraverso il mezzo più potente che la storia gli offre, diffondendo sul web video di esecuzioni e di distruzioni sistematiche, mentre l'Europa fa i conti con il proselitismo via web.
Forze di sicurezza davanti all'ingresso del teatro Bataclan (2015)
Si radicalizza online, creando nuclei di terrore che colpiscono al cuore il Vecchio continente: nel 2015, due commandi fanno irruzione nel Museo del Bardo di Tunisi e nella sede del giornale satirico parigino Charlie Ebdo, provocando le due stragi che certificano l'operato del jihad al di qua del Caspio. I terroristi imbracciano le armi da fuoco, trucidando 130 persone il 13 novembre dello stesso anno a Parigi, ma utilizzano ogni mezzo per spargere terrore: a Maalbeek, a Bruxelles, esplodono delle bombe, a Nizza un camion falcia 85 persone sulla Promenade des Anglais e lo stesso accadrà a Stoccolma e Berlino; a Londra si usa un'auto, poi un coltello, una vettura semina morte anche sulla Rambla. La nuova stagione del terrore diffonde un allarme quasi senza precedenti in un'Europa che si sente sotto attacco e si scopre vulnerabile. Serve la sconfitta militare nelle proprie roccaforti a ridimensionare le ambizioni di daesh: cadono Raqqa e Mosul ma non la sensazione di un male capace di infiltrarsi con troppa facilità nella sfera della quotidianità.
Le sfide internazionali
E' il decennio delle sfide globali quello che va in archivio, delle grandi prove di democrazia dell'IndyRef scozzese e della Brexit britannica. Perfino la Catalogna prova a sganciarsi dalla Spagna, ma lo fa illegalmente. Ma in ballo ci sono anche gli equilibri internazionali giocati in un grande Risiko a distanza: Donald Trump e Kim Jong-un alzano i toni sull'escalation missilistica della Corea del Nord, sfiorano il terreno dello scontro per poi incontrarsi due volte, facendo segnare momenti storici a Singapore ed Hanoi.
L'incontro fra Kim Jong-un e Donald Trump a Singapore – Foto © Ap (2018)
In ballo c'è il tema nucleare, quello che il maremoto sulla centrale di Fukushima trasforma nell'incubo che fu della vecchia Chernobyl, e da cui gli Stati Uniti si sganciano sul fronte iraniano scatenando l'ira di Teheran, cercando al contempo di ridimensionare le ambizioni atomiche di Pyongyang. Proprio la Corea, spettro di una nuova possibile guerra fredda per lunghi mesi, si dimostra capace di importanti passi in direzione della diplomazia, gareggiando al fianco dei vicini del Sud ai Giochi olimpici di PyeongChang e compiendo qualche passo (letteralmente) nella zona demilitarizzata di Panmunjon.
Il maremoto del Tohoku – Foto © Reuters/Mainichi Shimbun (2011)
Gesti eclatanti che fanno da contraltare al dramma silenzioso del Donbass, con le relazioni diplomatiche fra Russia e Ucraina che si spaccano sulla linea del Donec, avviando la crisi umanitaria di una regione storica stretta fra i separatisti filorussi e la rivendicazione territoriale del governo ucraino. Nell'escalation di violenza, il 17 luglio 2014 si inserisce l'impatto fra il Boeing 777 della Malaysia Airlines e un missile terra-aria mentre l'aereo sorvola l'oblast' di Donec'k: i morti saranno 298. Nel frattempo, si consumano le tragedie dimenticate, con lo Yemen dilaniato da una guerra civile senza precedenti e l'Africa logorata dalle incursioni dei gruppi fondamentalisti, che fomentano scontri etnici e impongono instabilità politica anche nelle zone dove gli equilibri si giocano sul piano della tolleranza reciproca.
Mezzi militari nel Donbass – AP Photo © Evgeniy Maloletka (2014)
Muri e migrazioni
Si parla e ci si confronta, rigorosamente a distanza. E' il decennio che azzera la conversazione da bar per traslare tutto fra le maglie della rete, che aggrega davanti a Game of Thrones ma divide, anche in modo feroce, sui grandi temi internazionali. Sono gli anni delle immagini e dei selfie: quello delle star agli Oscar 2014 è il più ritwittato di sempre ma la moda non risparmia gli eventi tragici, come quello della Costa Concordia, riversata sugli scogli dell'Isola del Giglio in un naufragio che costerà trentadue vittime. Anche i grandi leader internazionali si adeguano alle nuove forme di comunicazione: Facebook fa i conti con la perdita dell'egemonia e cede il passo a Twitter, dove fa politica anche il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, eletto nel 2016 incarnando, come forse mai nessuno prima, le caratteristiche fondanti del sogno americano. Ed è con il Tycoon che si inaugura una stagione nuova per l'America: via Twitter, Trump parla di muri, di misure a tutela dei confini, più o meno in contemporanea alla nuova ascesa delle destre al di qua dell'Oceano Atlantico. Un gioco a incastri, che mescola il dramma delle migrazioni di massa all'escalation del terrorismo, creando un corto circuito nel Vecchio e nel Nuovo continente. Gli Usa irrobustiscono il confine sul Rio Grande, il Mediterraneo resta la via d'accesso più battuta verso l'Europa, per quella che viene riconosciuta come la sfida più importante del nostro secolo. Un dramma continuo: nel 2013 muoiono 368 persone in un naufragio al largo di Lampedusa e la tragedia apre gli occhi dell'Occidente sul sottomondo dei viaggi della speranza, sulla piaga dello scafismo e dei trafficanti. E anche di questo il mondo parla, affidando al web il proprio dissenso ma traducendo il sentimento antimigratorio anche in drammatici atti concreti.
La città di Port-au-Prince, ad Haiti, devastata dal sisma del 12 gennaio 2010 – Foto © Minustah
La sfida per il clima
Ma è forse il tema ambiente che, più di ogni altro, accompagna l'umanità nel nuovo decennio. Un comune denominatore che sembra finalmente aggregare le nuove generazioni, che tornano in piazza sospinti dal vento di Greta Thunberg e delle battaglie per il clima, con i Fridays for Future che riportano ai giovani la parola del dissenso verso una classe politica accusata di lassismo e di quello che, forse, è il più grave dei crimini: la privazione del futuro agli eredi della Terra. Ed è in un pianeta che trema, con il disastro di Haiti che apre il decennio e il dramma dell'Albania che lo chiude (nel mezzo le tragedie del Nepal e del Centro Italia), che la gioventù del 2020 avanza sull'onda delle proprie rivendicazioni. Ci prova a Hong Kong, scontrandosi con un sistema granitico che stenta a lasciar fluire l'onda democratica, ma vuole riuscirci nella sfida contro il riscaldamento globale. Con la speranza che la crescita dell'entusiasmo corrisponda a quello della coscienza. Il resto è una storia da scrivere.