Un vero e proprio gioiello dell’architettura romana, luogo del cuore di uno dei più grandi oratori dell’antica Roma, una villa d’otium ricca di sculture e decori. Cicerone amava moltissimo questo luogo, tanto da seppellirvi l’amata figlia Tulliola. In epoche più recenti, la villa fu di proprietà di Federico II di Borbone, che vi trascorreva molto tempo, lontano dagli intrighi di corte. Purtroppo oggi è condannata al degrado. Il sindaco di Formia Sandro Bartolomeo, ha lanciato un appello: “Non si può perdere un tale gioiello solo perché insiste su una proprietà privata: aiutateci a salvare la Villa di Cicerone, prima che crolli giù tutto”.
In questa meravigliosa terra, che si affaccia sul golfo di Gaeta, gli antichi romani usavano dare sfoggio del loro potere a suon di dimore e innovazioni architettoniche. Anche Cicerone non fece eccezione, e qui volle una sfarzosa residenza, il “Formianum”, luogo prediletto per gli studi e rifugio dalla vita politica della Roma dei tempi della guerra civile. Lo stesso Cicerone parla della sua villa in numerose lettere, in particolare in quelle indirizzate all’amico Tito Pomponio Attico, dove si legge: “Io qui non ho una villa, ma una basilica a causa della frequenza dei Formiani. Caio Arrio è vicinissimo e non vuol saperne di andare a Roma per stare qui con me a filosofare tutti i giorni”.
La villa, costruita su tre livelli, è direttamente affacciata sul mare, con tanto di porticciolo privato (ora corrispondente al porto turistico di Caposele), aveva grandi peschiere e due ninfei a più navate. Tutto l’edificio era arricchito con decorazioni “rustiche”, colonne doriche, marmi e immagini rupestri. Cicerone si trovava in questa villa quando seppe dell’arrivo dei sicari di Antonio, e come scrive Seneca “Provò a fuggire per mare – racconta il sindaco Bartolomeo all’ANSA – ma la burrasca glielo impedì. Prese allora la Via Appia, ma fu raggiunto nel punto che oggi indichiamo come la sua Tomba, anche se in realtà è solo un sepolcro votivo”.
Col passare del tempo, la villa cambiò spesso proprietari, quasi tutti erano nobili appartenenti alle famiglie di spicco di Napoli, fino ad appartenere a Ferdinando II di Borbone, re di Napoli appunto, che la promosse a sua residenza estiva, arricchendola con un grande giardino di agrumi. Il 13 dicembre del 1861 in questa villa venne firmato l’armistizio per la resa delle truppe piemontesi del generale Cialdini, una tappa importante per la nascita del Regno d’Italia. Tra il 1867 e il 1868 la villa fu venduta dallo Stato alla famiglia Rubino, tuttora proprietaria dello stabile. La villa, anche se non è stata del tutto scoperta, versa in uno stato di degrado e di abbandono, così come anche lo storico agrumeto, la cui manutenzione per legge spetta ai legittimi proprietari.
Il sindaco Bartolomeo spiega che ”Dal momento della vendita a oggi non è stato compiuto alcun intervento. Si stanno perdendo tutte le decorazioni parietali e gli stucchi e anche il terrapieno, se continua a esser abbandonato, cederà. Prima che i ninfei crollino sarebbe meglio si dicesse ai privati che non ci si può appropriare di un pezzo di Storia e poi lasciarlo al degrado”. Già sette anni fa la giunta comunale di Formia propose ai Rubino l’acquisto dell’intera area (circa due ettari), ma la trattativa non ebbe successo per disaccordi interni alla famiglia. Ora anche il Fai ha cominciato ad interessarsi del sito, eleggendolo “luogo del cuore da salvaguardare”. “L’archeologia non finisce a Roma. Nostro obbiettivo -conclude Bartolomeo- è acquistare o espropriare il sito. Il presidente Zingaretti e il ministro Franceschini sono informatissimi e su questo stiamo lavorando con grande sinergia tra tutte le istituzioni”.