Se c’è una strada che porterà l’Italia fuori dalla palude che ristagna ai margini del mondo globale, non è l’imitazione di modelli allogeni, ma la riscoperta dell’essenza autentica della nostra terra. Il Belpaese non si rilancerà salendo su boschi verticali, piuttosto lungo la dorsale appenninica, dove sono incastonati luoghi che parlano del genio italico. Costruiti pietra su pietra da mani forti e sapienti, quei paesi che oggi sembrano destinati ad avvizzire tra la gramigna, sono il simbolo del riscatto tricolore da opporre alla tirannia del mercato che schiaccia confini e identità. L’uscita dalla crisi è laddove i giovani italiani, anziché dissolversi nel calderone di una “city”, sceglieranno di ripopolare un mondo antico. E laddove il ventre delle giovani italiane tornerà a novello vigore, sfornando figli piuttosto che muoversi al ritmo frenetico di qualche musica elettronica. Utopia? Forse. Sicuramente è anche poesia. Quella che trasuda tra le pagine di “Italia profonda” (edito da Gog, casa nata in un giovane, vivace ed anticonformista laboratorio culturale), un libricino che raccoglie pensieri agresti di Franco Arminio e Giovanni Lindo Ferretti. Il primo, che si definisce “paesologo”, è scrittore di lodi nei confronti della civiltà contadina della sua Irpinia. Il secondo, che ama definirsi cantore/scrivano, storico cantante del gruppo punk-rock Cccp, dall’Appennino emiliano è partito tanti anni fa per intraprendere un viaggio di andata e ritorno verso l’illusione dell’ideologia marxista applicata agli anni della contestazione prima e del disimpegno dopo.
La speranza
La storia di questi due uomini non più di primo pelo, testimonia che si può anche partire, si possono far proprie competenze e soprattutto esperienze di vita, ma nulla come il ritorno dà compimento al proprio anelito più profondo. Consumare può darci un effimero compiacimento, conservare è l’atto che colloca le nostre azioni nell’eterno fluire della Tradizione. Come scrive Ferretti, “chi dimentica il proprio passato si ritrova occasionalmente intruso nel racconto di altri”. Siamo in un’epoca in cui la confusione sembra prevalere, ecco allora un monito di Arminio da tenere nel cuore: “Ama la tua città, ama il tuo paese, questo è il primo comandamento nella civiltà della geografia in cui ogni cosa va sistemata con cura nel suo spazio”. Ed ancora, lo scrittore irpino ricorda: “Credere che ovunque è possibile una grande vita, ma se la fai nel tuo paese non stai facendo solo la tua vita, stai tenendo in vita anche gli altri, anche se non lo sanno”. Ma la loro non è solo ode e poesia, è anche denuncia, verso l’interesse politico riservato esclusivamente ai “riconoscimenti Unesco” di certi luoghi e verso un ambientalismo radicale che penalizza la presenza umana. Il futuro dell’entroterra italiano è dunque la cannibalizzazione turistica? Nell’animo dei due autori sorge un bagliore di speranza. “Poco alla volta – riflette Arminio – si accenderanno focolai di senso, azioni politiche e poetiche”. Sarà una sorta di giustizia divina ad impedire l’omologazione a vantaggio del ritorno al passato. “Però io sono profondamente convinto che il succedere delle cose sulla terra non dipenda così tanto, certo non solo, dalla volontà degli uomini che è parte indispensabile e quasi sempre poco lungimirante ma non è tutto…”. Il tutto è altrove, lo riscopriamo – riflette Ferretti – qui dove “la Creazione mantiene una forma/forza naturale che la società nella sua evoluzione, prima industriale ora metropolitana, è in grado di contenere e con la massificazione delle esistenze può offuscare e vanificare. Qui riluce di bellezza”.