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“Due mondi. Kensuke Karasawa e Francesca Rivetti” a Milano

Due mondi. Kensuke Karasawa e Francesca Rivetti” è il nome della mostra che da oggi resterà aperta fino al 23 Dicembre 2016 presso Viasaterna a Milano. La mostra presenta per la prima volta in Italia l’artista giapponese Kensuke Karasawa (nato ad Aichi, 1987), attraverso una selezione di lavori recenti, e l’ultimo progetto di Francesca Rivetti (Milano, 1972): “I Want To Talk To Seymour Too (Anch’io voglio parlare a Seymour)”.

Due Mondi è un’esposizione centrata su due tematiche fondamentali. Innanzitutto la natura, che tuttavia non costituisce il soggetto di nessuna tra le opere presentate, ma ne resta costante fonte d’ispirazione. Si ritrova così il senso diffuso nella società contemporanea della necessità di un riavvicinamento all’ambiente, sottolineandone non tanto gli aspetti più transitori ed effimeri, ma la sostanziale inevitabilità, per il singolo individuo così come per la collettività.

In secondo luogo, si legge nel comunicato stampa, gli autori mettono al centro della propria ricerca l’atto del guardare, la percezione stessa, e le complesse dinamiche di mediazione che dall’esperienza diretta conducono alla rappresentazione. Si tratta di un approccio metalinguistico, rivolto a indagare per prima cosa il linguaggio espressivo utilizzato – la scultura per Karasawa, la fotografia nel caso di Rivetti – eppure sfruttato da entrambi senza alcuna rigidità, mescolando il geometrico rigore dello studio scientifico con atmosfere riscaldate da intimità e picchi di autentica visionarietà.

Kensuke Karasawa dà forma alle sue opere utilizzando prevalentemente il legno di canfora e la cera. Materiali naturali, appunto, con cui l’artista giapponese acquisisce confidenza grazie ai propri maestri appartenenti alla corrente artistica Mono-ha, impegnata dalla fine degli anni Sessanta nel complesso tentativo di discernere tra realtà e apparenza. Le sculture di Karasawa agiscono così come sottili dispositivi di incrinamento delle convenzioni. Tutto è risolto attraverso una grammatica di forme pure, semplici, evidentemente prossime al gusto minimalista, eppure distanti da qualsiasi schematismo modulare per scatenare una serie di sorprese visive.

Il mare è protagonista del lavoro di Francesca Rivetti, I Want To Talk To Seymour Too, formato da tre serie di immagini fotografiche. In Ocean alcuni frammenti di sacchetti di plastica, trovati dall’artista proprio nella profondità di diversi mari del mondo, dal Mediterraneo al Mar Rosso, fino al Mare dei Caraibi, sono utilizzati in studio per simulare la superficie dell’acqua. Il risultato è un incontro tra organico e inorganico, con quest’ultimo che si riempie di vita (è il “sex-appeal dell’inorganico”), tramutandosi da rifiuto in scenario sublime. Displacement è una serie di still-life di oggetti prelevati dal mare e allestiti come reperti plasmati dalla forza degli elementi. A metà tra Surrealismo e ready-made, hanno la forza di sculture ancestrali, che la macchina fotografica insieme documenta e interpreta, assegnando a ciascuna un carattere particolare.

Grottesca è la terza parte del progetto. Sono immagini ravvicinate di antiche pitture parietali, frazionate nei loro elementi minimi. Si tratta di rappresentazioni geroglifiche, “senza spessore né peso”, come le descrive André Chastel, dunque opposte alla realtà, ugualmente ad ogni fotografia, foriere di incubi e sogni. Anche qui, come nei mari di plastica, ci si trova intrappolati in universi alternativi che Francesca Rivetti, allo stesso modo di Kensuke Karasawa, escogita per farci riscoprire il mondo reale.

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