Una luce nuova? O si potrebbe definire antica? Sono un po’ entrambe quelle che, da alcuni giorni, illuminano la monumentale tomba di Papa Giulio II, nella basilica minore di San Pietro in Vincoli, a Roma. Le straordinarie trame scultoree di Michelangelo, grazie a un progetto messo in atto dalla Soprintendenza per il Colosseo e sostenuto da “Il gioco del Lotto”, tornano a splendere come cinquecento anni fa, nell’identica idea di luce pensata dall’artista fiorentino, per troppo tempo oscurata, letteralmente, dalla chiusura di una finestra. Una vicenda singolare, iniziata nell’ormai lontanissimo 1867 e trascinatasi fino ai nostri giorni senza che, almeno finora, fosse stata presa in considerazione come una problematica. La costruzione di un edificio adiacente, comportò allora l’oscuramento di una delle due finestre che, all’epoca di Michelangelo, illuminavano la tomba in uno straordinario (e assolutamente voluto) gioco di luce. Già, perché nell’idea iniziale del genio rinascimentale, i raggi del sole non erano solo un elemento scenografico, ma un vero e proprio agente costituente dell’immensa opera funeraria.
Giochi di luce
Un segreto, questo, scoperto dopo anni di studi dal restauratore Antonio Forcellini, autore di infinite ricerche attorno al complesso scultoreo nel quale è compreso il Mosè. Ricreare le condizioni originarie previste per la tomba costituisce non solo un’opera di grande rilevanza culturale, ma la restituzione di una scenografia di innata bellezza, nonché dell’esatto significato pensato dall’autore, dalla scelta del materiale al posizionamento delle varie componenti architettoniche. Impossibile riaprire l’antica finestra ma, grazie alle tecnologie del XXI secolo, lo è stato ricreare la visione cinquecentesca, grazie alle installazioni al led applicate da Mario Nanni, light-designer. Il risultato: la suggestiva impressione di ritrovarsi di fronte a uno dei più importanti monumenti funebri d’Italia come questo doveva apparire in una normale giornata di sole della metà del XVI secolo, nel 1542, quando Michelangelo girò il volto del Mosè verso sinistra, esattamente 25 anni dopo la sua creazione.
Prosperetti: “Non solo restauro”
“Il Comune di Roma – ha spiegato il soprintendente Francesco Prosperetti – ha fatto moltissimo in questi anni per attrarre donatori e mecenati per ‘curare’ le antichità romane. Il restauro del Mosè ha un’altra caratteristica esemplare, che è quella della cura che il mecenate ha assicurato nell’arco di un periodo di più di 15 anni. L’idea è che non ci si limiti al restauro, ma che il monumento venga adottato attraverso una cura pluriennale”. E pensare che, inizialmente, il lavoro sulla tomba prevedeva solo un normale intervento di restauro: quello che viene restituito al pubblico, invece, è un monumento del tutto rinnovato, nella migliore delle combinazioni, attraverso la riproposizione del suo fasto antico.