Non è una novità che esistano personaggi in grado di passare letteralmente alla storia in punta di pennello. E, nel mondo del fumetto, questa è una considerazione cardine, imprescindibile. Di esempi se ne potrebbero fare tanti ma, in questo caso, si parla di Asterix, il piccolo gallo dell’Armorica (l’odierna Bretagna) capace, assieme al suo piccolo villaggio, di resistere al giogo della Roma cesarea e far rimanere il villo l’unico puntino escluso dalla mappa dell’Impero. E’ chiaro che si tratta di uno dei personaggi certamente più amati e celebrati, ma è anche vero che, nei suoi trascorsi fumettistici, mai si era pensato di trasferire lui e il suo inseparabile amico, Obelix, addirittura nel cuore del territorio “nemico”. Ci hanno provato, con humor e sagacia narrativa, gli autori Jean-Yves Ferri e Didier Conrad, autori dell 37esimo albo della saga “Asterix e la corsa d’Italia” (Panini Comics), presentato all’auditorium dell’Institute Saint-Louis, a Roma, e in vendita da oggi.
Corsa a tappe per l’Italia
Alla loro terza prova con le avventure del personaggio e, oramai, assodati successori della coppia storica Goscinny-Uderzo, i due fumettisti francesi si sono trovati di fronte a una sfida tutt’altro che semplice, cercando di offrire al pubblico un Asterix pienamente calato fra città e stereotipi della Penisola, confrontandosi per la prima volta non tanto con Roma, quanto con la diversità linguistica e culturale del nostro Paese. In fondo, hanno spiegato gli autori, “il segreto di questo albo è la lettura della modernità attraverso il filtro dell’antichità”, coniugando spiragli dell’Italia di oggi con le informazioni sul passato fornite dai documenti. Un lavoro non certo indifferente, fatto di ricerche e ovvie licenze poetiche: “Alla base di tutto – ha spiegato Ferri – c’è la volontà di portare Asterix a conoscere per la prima volta l’Italia, e di farlo nell’ambito di una corsa di carri che Giulio Cesare apre a tutte le provincie del mondo conosciuto. Lui e Obelix Roma la conoscevano ma non l’avevano mai visitata… ci sembrava arrivato il momento che la vedessero da vicino”.
Da Monza a Napoli
Ma non solo l’Urbe. In pieno rispetto dell’ispirazione basilare della “corsa”, che Ferri ha confermato essere arrivata “più da un gran premio automobilistico che da una competizione ciclistica come il Giro d’Italia”, l’avventura numero 37 del gallo parte da Monza, dove a darsi appuntamento sono gli equipaggi di ogni angolo del planisfero antico, ognuno con i suoi emblemi e i suoi segni distintivi. Da qui, la via prosegue verso sud, fra Venezia, Toscana, la stessa Roma, per finire a Napoli: “Sarebbero dovuti arrivare più a sud – hanno detto ancora Ferri e Conrad -. Ma aggiungere un’altra tappa avrebbe richiesto altre pagine e questo non era possibile. Chissà che non in futuro non arrivino ancora più giù…”. Magari una tappa in Sicilia, propone qualcuno dei rappresentanti del Gruppo Panini, ma per ora fermiamoci alle pendici del Vesuvio, a Pompei, dove qualcuno si costruisce la propria villa…
L'Italia e gli italiani
Il “giro d’Italia” che i due galli compiono passa anche da Siena e Firenze, sulle quali i documenti storici dell’epoca (il 50 a.C.) sono decisamente di meno: “Il capoluogo toscano esisteva ma non era la città che conosciamo oggi – hanno spiegato -. Era un accampamento romano di veterani ma abbiamo cercato di rendere al megliol’ambientazione, uniformandola a segni riconducibili alla Firenze dei giorni nostri”. Più complicato il discorso su Siena: “I testi quasi non c’erano. Ci sono riferimenti a questa città così come è conosciuta da molti pittori francesi, senza dimenticare il Palio”. Ferri c’è anche stato: “Dopo, però. Per controllare di non aver fatto errori!”. Attorno ai tiri a quattro che attraversano lo Stivale, si snoda un affresco di popoli, lingue, prodotti culinari e paesaggi, coi quali i personaggi interagiscono imparando quali e quante diversità vi siano su quel territorio dominato da Roma. Tra i numerosi volti che i due galli trovano sul proprio cammino, alcuni sono ben noti dalle nostre parti: la matita di Conrad riproduce, attraverso citazioni e parodie, nomi come Luciano Pavarotti, Roberto Benigni, Silvio Berlusconi e persino Monica Bellucci.
Ferri: “Omaggio a Goscinny e Uderzo”
Insomma, una nuova avventura tutta da scoprire e assaporare in quella chiave ironica che contraddistingue Asterix dal 1959 a oggi. Un bel po’ di tempo, in effetti. E allora, qual è il segreto di tale longevità? Chissà se lo scorrere del tempo ha portato all’evoluzione del personaggio e del suo modo di interpretare la storia. Ferri non lo pensa: “Asterix non è cambiato – ha spiegato a In Terris a margine della conferenza -. C’è sempre un piccolo villaggio di Galli che si oppone con forza al dominio di Roma e questo si può adattare a qualsiasi epoca. Asterix ha questa peculiarità: ci può far parlare di un po’ di tutto”. E, magari, portare lui e Obelix in Italia è anche un modo per ricordare Goscinny, a 40 anni dalla sua morte prematura: “Sì – ha confermato l’autore -. Lui e anche Uderzo, che ha genitori italiani. E questo comportava non pochi rischi…”. Addirittura? E quali? “Beh, di non fare le cose per bene… Uderzo, da grande appassionato di Italia e di macchine da corsa, se avessimo fatto qualche errore avrebbe potuto farcelo notare!”. E le buche a Roma? Asterix e Obelix incontrano anche quelle. Eppure, in una sorta di antico-moderno gioco politico, “l’Urbe annuncia la corsa proprio per dimostrare che le sue strade sono eccellenti”. Per vedere se sia davvero così, non resta che leggere la storia.