Ha preso il via nella doppia sede di Palazzo Venezia e Castel Sant’Angelo (Roma) la mostra “Armi e Potere nell’Europa del Rinascimento”, in programma fino all’11 novembre
La mostra, ideata e prodotta dal Polo Museale del Lazio, diretto da Edith Gabrielli, in collaborazione con il Polo Museale dell’Emilia Romagna, è curata da Mario Scalini, esperto riconosciuto del settore e Direttore del Polo Museale dell’Emilia Romagna. Tra Palazzo Venezia e Castel Sant’Angelo saranno esposti circa160 pezzi tra armature intere, armi da difesa e da offesa, armi da fuoco, elmetti, spade, corsaletti, balestre e schiniere. Il catalogo, edito da Silvana editoriale, si avvale inoltre del contributo di Massimo Carlo Giannini, professore di storia moderna presso l’Università degli Studi di Teramo.
“Cavallier”, “arme” e “audaci imprese” sono alla base del celeberrimo attacco de L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, andato in stampa nel 1516. Le armi – si legge nel comunicato stampa – assunsero nel Rinascimento e ancor più nel Rinascimento italiano una valenza pressoché totalizzante. Con l’aprirsi delle guerre d’Italia, nel 1494, gli stati della Penisola divennero luoghi di scontro e di contese per le grandi potenze internazionali, prime fra tutte la Spagna e la Francia.
In qualche modo si può dire che nel Rinascimento le armi fecero veramente la Storia. Dal tipo di armi o dalla loro qualità potevano dipendere e di fatto dipesero accadimenti storici di notevole portata, dal conflitto tra Occidente e Impero Ottomano alla battaglia di Pavia. Le armi, allora come del resto oggi, furono all’origine di notevoli progressi nel settore scientifico o tecnologico, nel commerciale, come nei settori della medicina e della farmacopea.
Il sistema di valori che le armi sottendevano si spinse comunque ben oltre il loro uso concreto, ossia ferire, uccidere il nemico o, all’opposto, difendersi. Esse assolvevano a una pluralità di intenti e di significati (iconografici, simbolici, rituali, iconici). In una società che ne faceva costantemente uso, perché le guerre erano endemiche, ma anche perché le si usava sia nell’arte venatoria, sia nei tornei e nei bagordi, autorappresentazioni spettacolari e a volte truculente del ceto aristocratico e combattente.
È in questo contesto che s’inserisce, prepotente, la storia dell’arte. Una disciplina che, da sempre, riconosce le armi come manufatti di altissimo artigianato, in alcuni casi pari all’oreficeria. D’altro canto, sono rimasti finora nell’ombra realtà e collegamenti che sono invece al centro della mostra: basti citare la semplice equazione esistente tra la fioritura della statuaria monumentale in bronzo e la tecnologia delle bocche da fuoco.
L'esposizione
L’esposizione affronta ogni aspetto del complesso intreccio fra armi e uomini, mitologia e rappresentazione del potere. Essa tiene conto inoltre della lunga tradizione dei manuali di arte militare, già in auge nell’età bizantina, come pure di alcune immagini-simbolo del tempo, che raffigurano gentiluomini e talora anche gentildonne corazzati di tutto punto.
Sia Castel Sant’Angelo che Palazzo Venezia custodiscono nuclei di armi storiche pressoché unici al mondo. Proprio queste straordinarie collezioni – restaurate e riordinate per l’occasione – unite a una serie di prestiti internazionali, fanno conoscere allo specialista e al normale visitatore un fenomeno rimasto per molto tempo noto a pochissimi.
Collezione Odescalchi
Il nucleo centrale della mostra è costituito dalla collezione Odescalchi. Al contrario di quanto spesso creduto, l'armeria Odescalchi non è di origine dinastica: essa nasce dalla passione del principe Ladislao (1846-1922). Grazie ai contatti instaurati con diversi antiquari italiani ed europei, tra cui l'inglese Samuel James Whawell e il francese Louis Bacherau, Ladislao riunì un cospicuo numero di armi provenienti per lo più dall'Europa occidentale, alle quali si aggiunsero piccoli gruppi non omogenei del medio e dell'estremo Oriente. Alla sua morte, la collezione venne riordinata dal nipote Innocenzo nel palazzo romano di Piazza SS. Apostoli: forte di circa duemila pezzi, nel 1959, poco dopo la morte di Innocenzo, essa venne quasi interamente donata al Museo Nazionale del Palazzo di Venezia. In mostra la collezione Odescalchi è presente con i pezzi di maggiore rilievo, molti dei quali finora mai esposti. Una splendida occasione per ‘ritrovare’ e valorizzare una raccolta per troppo tempo confinata nei depositi.
La mostra si giova di un progetto di allestimento a cura di Sonia Martone, direttrice di Palazzo Venezia, in collaborazione con il Dipartimento di Architettura di ‘Sapienza’ Università di Roma. Grazie alla raffinatezza delle soluzioni formali e tecnologiche adottate, l’allestimento si qualifica come uno dei punti di forza dell’iniziativa, in linea peraltro con le altre grandi mostre del Polo Museale del Lazio.