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Antigone, la modernità dell'eroina disobbediente

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C'è un lungo percorso culturale dietro la costruzione della figura di Antigone, eroina disobbediente, eversiva in un certo senso, che riemerge dal testo della tragedia di Sofocle per essere connotata in chiave moderna, conservando le peculiarità originali ma mostrando al contempo un sorprendente adattamento ai dettami della contemporaneità. Dissobbedienza civile contro ragion di Stato, temi in contrasto che trovano linfa anche ai giorni nostri, in cui la declinazione antica lascia il posto a una libertà d'interpretazione propria dell'era del confronto aperto. L'Antigone portata in scena allo Stabile di Catania, dal 15 al 27 ottobre, come scopo aveva questo: creare dibattito, ascoltare le riflessioni suggerite dalla scena, cogliere le sfumature di un dramma antico su un pubblico moderno, sorprendente nella sua capacità di far propri temi e personaggi: “Non abbiamo attualizzato Sofocle – ha spiegato a In Terris Laura Sicignano, direttrice del Teatro Stabile e regista dell'opera – ma era necessario che ascoltassimo tutto quello che ci accadeva intorno, come ad esempio il dramma delle donne curde. Non lo abbiamo riportato ma è arrivato lo stesso, perché è Sofocle che lo fa arrivare”.

 

Una scelta coraggiosa affrontare un classico come l’Antigone riuscendo a cogliere quelle sfumature che lo rendono così attuale. Si tratta di un’evoluzione naturale o c’è dietro un lavoro di modernizzazione?
“La scelta di portare in scena Antigone è dovuta soprattutto alla forza di questo testo, scritto 2500 anni fa ma che riesce veramente a parlare al presente. Per affrontarlo sono partita da una nuova traduzione e un nuovo adattamento, partendo dal testo greco originale e questo mi ha consentito di leggere parola per parola la straordinaria universalità di questo classico. Nonostante la mia traduzione molto fedele, alcune persone mi hanno chiesto se alcuni termini li avessi inseriti volontariamente per fare un riferimento esplicito all’attualità. Assolutamente no. Il linguaggio utilizzato rifugge da qualsiasi enfasi, declamazione, retorica… È molto asciutto, si adatta a quello dei personaggi, ho cercato di dar loro un linguaggio contemporaneo, rapido, di valorizzare il ritmo della tragedia e questo è stato possibile anche grazie alla presenza in scena di un polistrumentista che ha composto questa partitura musicale e la esegue tutta dal vivo. È un elemento molto forte, che era presente anche nell’opera antica ma che non sarebbe comunque replicabile oggi. Abbiamo pensato a luoghi e pubblico contemporaneo e questo ha comportato anche un lavoro sul coro, che ha la stessa funzione di quello antico ma con una declinazione differente. Il coro è composto da personaggi che circondano Creonte, non occupa più lo spazio filologico di quello antico ma compie un suo percorso. Sono varie sfaccettature del potere”.

Un lavoro imponente che vede il suo fulcro nelle diverse caratterizzazioni dei personaggi. Una componente essenziale, poi, è la loro capacità di relazionarsi in base sia all’interpretazione che ne dà l’attore che alla loro connotazione originaria…
“Quello che è emerso durante le prove sono stati i grandi conflitti che attraversano questo testo, quello fra la ragion di stato e il principio di libertà umana, tra l’universo maschile e femminile, tra l’eversione e un potere non cattivo ma che deve preservare il sistema. La tragedia si svolge all’indomani di una guerra civile e Creonte cerca di ripristinare un ordine con i mezzi che ha a disposizione. C’è un conflitto anche generazionale, fra quei padri che ha distrutto quella dei figli, che tenta di immolarsi in nome di un’idea ma che finisce per trasformarsi in una generazione suicida. Si tratta di conflittualità molto potente: tutti i fatti di cronaca accaduti recentemente si attraversavano ma senza restituirli in quel tono lì. Non abbiamo attualizzato Sofocle ma era necessario che ascoltassimo tutto quello che ci accadeva intorno, come ad esempio il dramma delle donne curde. Non lo abbiamo riportato ma è arrivato lo stesso, perché è Sofocle che lo fa arrivare”.

Un lavoro decisamente non solo accademico ma con una forte componente culturale…
“Il gruppo di attori ha lavorato in maniera molto corale, i protagonisti sono sempre in un gruppo fatto di attori di grande talento, creativi nel lavoro. Questo piace, vedere un interprete sensibile e non mero esecutore. Il pubblico giovane soprattutto lo nota e lo apprezza. Abbiamo lavorato sull’essenziale e sul necessario”.

Del resto è una peculiarità del teatro riuscire ad adattarsi al rinnovamento dei tempi, conservando la sua componente umana e visiva ma riuscendo per questo a lasciare messaggi diversi…
“Certo, è un equilibrio delicato e il traguardo è difficile. Il teatro è molto complesso, possiede molti linguaggi e soprattutto è influenzato dalla componente umana che, di per sé, è soggetta al cambiamento. La perfezione è sempre utopica, noi lavoriamo per la bellezza e anche questo è molto bello e stimolante. È interessante però vedere la reazione del pubblico che dopo lo spettacolo discute, si confronta, perché l’opera non vuole elargire verità ma stimoli di riflessione, ed è bello notare come ognuno ci veda un po’ del suo mondo e del suo presente. Mi è capitato di sentire cose a cui non avevo minimamente pensato ma è stato bellissimo vedere come lo spettacolo generi riflessioni così ampie”.

L’emancipazione di Antigone riflette l’emersione dell’importanza sempre maggiore del ruolo donna nella società di oggi?
“Assolutamente ma vorrei precisare che in questo testo di donne ce ne sono tre e noi abbiamo cercato di dare a ognuna di loro una connotazione precisa, perché sono tre caratteri completamenti diversi: Antigone è la donna che si espone, si mette in pericolo, compie un’azione ribelle, un atto eversivo rispetto al suo ruolo consueto in società; sua sorella, Ismene, è una giovane tormentata, che inizialmente non riesce a prendere posizione, tentando poi un atto ribelle senza riuscire a compierlo fino in fondo; la terza, Euridice, è la moglie di Creonte, messa da noi in scena come una first lady muta. È una donna perfettamente adeguata al ruolo che la società impone ma che, in questo caso, si rende complice di un delitto e che alla fine sconterà il suo silenzio. Abbiamo cercato, nell’ottica di uno spettacolo corale, di dare profondità a tutti e tre i personaggi femminile, non solo ad Antigone. Anche perché, a ben vedere, il vero protagonista è Creonte, con i suoi contrasti interiori, al potere quasi per caso, autoritario ma non autorevole, incapace di cambiare, anche dopo il confronto con un figlio che, invece, è molto in ascolto della vita. La durezza di Creonte lo porterà a essere spezzato dagli eventi”.

Interessante la sua considerazione sui giovani spettatori. Ritiene che a colpirli sia la varietà dei personaggi e la conseguente possibilità di identificazione o l’opera contiene una componente implicita che i più giovani sono in grado di cogliere?
Io credo un po’ tutte le cose: c’è possibilità di identificazione in molti personaggi, dall’uomo qualunque al soldato idealista fino alla fanciulla fragile. Credo poi piaccia per il linguaggio concreto, immediato e anche per la bellezza visiva. Questo importante, perché i giovani sono molto attratti dalla componente visiva, forse più che dall’ascolto delle parole. E questo vale anche senza la presenza del video: è il teatro con il legno, la polvere, con la sua mutevolezza.

La sua esperienza in due città di forte fermento culturale come Genova e Catania le ha probabilmente dato occasione di conoscere e confrontare reazioni diverse nel pubblico giovanile, opportunità interessante in un periodo storico in cui si parla di giovani “schiavi” della tecnologia ma che, invece, sanno ancora emozionarsi davanti alla bellezza…
“Assolutamente sì. Recentemente abbiamo avuto un incontro con i ragazzi delle superiori che hanno incontrato costumista e scenografo. Hanno fatto domande intelligentissime. Abbiamo fatto anche un corso di fotografia teatrale e loro hanno potuto seguire davvero come è nato e cresciuto lo spettacolo, l’entusiasmo era tantissimo. Smettiamola di dire che i ragazzi sono assuefatti ai social e basta: diamo loro le occasioni giuste e vedremo che sono in grado di dimostrare sensibilità e intelligenza molto più di noi”.

Damiano Mattana: