“Subito dopo le sette andai da papà e mamma e poi nel salotto per spacchettare i miei regalucci. Il primo che mi apparve fosti tu, forse uno dei più belli fra i miei doni”. Sono le prime righe con cui Anna Frank il 12 giugno del 1942 inaugura il suo diario. La piccola, tedesca di nascita ma olandese di adozione, racconta l’emozione del suo tredicesimo compleanno durante il quale le verrà consegnato un quaderno che, a sua insaputa, la farà diventare parte del patrimonio letterario della seconda guerra mondiale.
La copertina è a quadretti rossi, proprio come quello che il giorno prima aveva visto nella libreria vicino casa sua. Su quel diario Anna appunta pensieri, paure, desideri e angosce rivolgendosi a un’amica immaginaria chiamata “Kitty”. La sua famiglia fu vittima della persecuzione nazista che in quegli anni prese il sopravvento, e per questo motivo la ragazzina non potendo più frequentare la scuola, trascorse la sua quotidianità tra le mura della casa prima, e di un alloggio segreto in seguito.
E’ in questo tempo che Anna Frank si dedicherà al diario, descrivendo con fiumi di parole le vicende della sua famiglia, il ricordo dei compagni di scuola, il suo primo amore ma anche quegli anni vissuti nella paura a causa della ferocia nazista che si aggirava in città. Il suo racconto s’interrompe bruscamente nell’agosto del 1944, quando la sua famiglia viene arrestata e portata nel campo di concentramento di Auschwitz e di qui a quello di Bergen Belsen.
Sarà il padre, unico sopravvissuto, a pubblicare il diario della figlia, divenuto simbolo letterario dell’Olocausto del popolo ebraico. Quelle preziose e dolorose righe rivelano le aspirazioni della piccola Anna che si chiedeva: “Sarò mai capace di scrivere qualcosa di importante, lo spero proprio, perché scrivendo posso confidare alla carta tutti i miei pensieri, i miei ideali, i miei sogni”.