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Giustizia, parla Basentini: “Per ricostruire le carceri, serve collaborazione” – Esclusiva –

A Interris.it il capo del Dap chiarisce la dinamica che ha portato alla drammatica rivolta nelle carceri

“Non c’è più tempo” è il mantra che rimbomba da Palazzo Chigi a via Arenula, e che evoca un’emergenza dentro l’altra. Perché oggi, ad allarme rientrato, delle rivolte nelle prigioni italiane non restano che pochi focolai. Ma il bilancio è pesante: 12 morti per overdose, 8 detenuti in fuga nel foggiano, 600 posti letto distrutti, 20 milioni di euro di danni. E così quella che sembrava un’emergenza esclusivamente sanitaria ha invaso altri aspetti del sistema, quelli che rivelano un’Italia fragile, come il sistema penitenziario. Si calcola che nel Paese almeno 10mila detenuti siano oltre la capienza consentita dalle attuali carceri. Strutture che, a loro volta, sono fatiscenti, e lo dimostra la multa da cento milioni di euro comminata dalla Cedu di Strasburgo dopo la sentenza Torreggiani per via di soli 3 metri a detenuto. Queste ad altre criticità fanno parte della trama complessa del sistema penitenziario. “Nella protesta, non si parla di violenza, ma di atti criminali” ha ribadito il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, nella relazione alla Camera di ieri pomeriggio. Le forze politiche chiedono chiarezza, le procure stanno indagando su un’eventuale regia esterna che abbia coordinato tutto.

Il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede

Per il Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Francesco Basentini, non è il tempo delle ipotesi. Ora si tratta di agire, procedendo alla sicurezza dei detenuti e delle strutture che li ospitano.

Come risponde a chi chiede le sue dimissioni da capo del Dap?
“Semplicemente non rispondo”.

Cosa ha scatenato il caos nelle carceri del Paese?
“Il perché di ciò che è successo ha sicuramente un ordine di ragioni, ha dei contenuti apparenti ed altri che ‘non sono emersi’. Attenendoci alla ragione manifestata dai detenuti, si è trattato di una preoccupazione di contagio all’interno delle strutture penitenziarie”.

A proposito di questo, quali provvedimenti sono stati adottati dal Dap?
“Il 22 febbraio scorso è stata emanata la prima circolare in cui si davano precise disposizioni in cui si richiamano le disposizioni dalla Protezione Civile e del Ministero delle Salute. La seconda circolare è stata emanata il 25 febbraio scorso ed era decisamente più rigorosa: in essa, sempre a tutela della salute dei detenuti e del personale penitenziario, si ponevano accorgimenti che non inficiavano in nessun modo i diritti dei detenuti. Non si faceva nessun intervento sui colloqui, sui trattamenti, sulla sospensione dei permessi”. Il 26 febbraio è stata emessa l’ennesima circolare, in sinergia con i provvedimenti del governo, in cui il Dipartimento ha avuto il ‘coraggio’ di prendere una serie di misure per prevenire il contagio. Con questa circolare si raccomandava tutti i provveditori e gli operatori penitenziari di informare i detenuti sulla situazione e sulle cautele necessarie da tenere. Inoltre si diceva di ‘comunicare, dialogare con detenuti’ e ‘concordare con essi le azioni da adottare per limitare il rischio di contagio’. In buona sostanza, l’idea era quella di trovare il consenso dei detenuti per poter intervenire, in mancanza di una norma, sulle modalità di esercizio dei loro diritti. La politica del Dap è stata sempre quella di trovare una soluzione assieme ai detenuti”.

La rivolta nel carcere di Poggioreale

Cosa è accaduto l’8 marzo, quindi?
“Le idee sviluppate nei nostri provvedimenti sono state ratificate nei provvedimenti del Governo. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020, il Governo raccomanda di sostituire i colloqui visivi con quelli a distanza e di poter agevolare, attraverso la magistratura di sorveglianza, i provvedimenti di concessione della detenzione domiciliare. Con decreto legge dell’8 marzo del 2020, le stesse proposte trovano collocazione nella norma d’emergenza”.

Qual è il suo commento per le morti di overdose, invece?
“Nelle nostre carceri, abbiamo un’alta percentuale di detenuti tossicodipendenti.Secondo quanto emerge dalle prime evidenze acquisite, una delle prime cose fatte dai detenuti, in occasione delle rivolte, è stata quella di prendere possesso dei locali infermeria, dove ci sono metadone e psicofarmaci. Una parte di loro ne avrebbe fatto uso smodato procurandosi uno stato di overdose. Il dramma di Modena si è ripetuto esattamente a Rieti: stessa modalità. Ritengo che su tali decessi gli accertamenti di indagine della magistratura requirente serviranno a ricostruire l’esatto accadimento dei fatti.

Questi episodi non mostrano la fragilità del sistema penitenziario?
“Più che di fragilità, parlerei di complessità di un sistema su cui, a livello strutturale e organico, per anni non si è investito. Una delle criticità più serie deriva dall’assistenza sanitaria. La sanità pubblica è già in difficoltà: chi vive in una condizione di assembramento obbligato, si sente preoccupato. L’occasione è stata utile per far emergere una serie di carenze e una voglia di libertà dei detenuti”.

Caos nelle carceri – Foto © Ansa

Come intendete procedere?
“Adesso dobbiamo lavorare per ripristinare la sicurezza degli ambienti e ricostruire un clima di serenità. Abbiamo seri problemi per l’utilizzabilità di strutture. Modena è inutilizzabile, aveva 500 posti detentivi. Il mio auspicio è che si lavori per garantire la sicurezza nelle carceri, si continui a lavorare per incentivare la prevenzione dal contagio, ma occorre il contributo di tutti e soprattutto degli stessi detenuti. Una parte consistente di essi non ha preso parte alle proteste. C’è una stragrande maggioranza che ha manifestato dissenso in maniera accettabile, senza l’uso della violenza. C’è bisogno della collaborazione buona di questi detenuti. Muoviamoci con senso di responsabilità e dovere”.

 

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