Crescono in Italia i casi di infezioni provocati dalle zecche, anche a causa dei cambiamenti climatici. Nella cura tempestiva di quella che può rivelarsi una puntura fatale le nuove tecnologie possono rivelarsi utili. Se ne è parlato a Milano durante il convegno internazionale “Giornate infettivologiche Luigi Sacco 2019”.
Minaccia
Proprio per l'aumento delle temperature, le zecche si trovano adesso a latitudini ed altitudini più elevate rispetto al passato e sono presenti in aree geografiche come, ad esempio, il nord est Italia (Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Trento, Bolzano), dove sono stati rilevati casi di borelliosi di Lyme ed encefalite da zecche Tbe (per il cui monitoraggio dal giugno 2018 è stato attivato un piano di sorveglianza nazionale). La Tbe “è una grave malattia del sistema nervoso centrale che può causare morte o danni neurologici permanenti. Le segnalazioni in Europa sono aumentate del 400% dall'ultimo quarto del secolo scorso. Nel 2016, I casi di Tbe confermati in Europa sono stati 2.674 e gran parte delle segnalazioni vengono da Austria, Repubblica Ceca e Slovenia, ove la vaccinazione è raccomandata per tutta la popolazione.
Diagnosi
Gli ospiti naturali del virus sono roditori selvatici, mentre l'uomo è infettato accidentalmente dalle “zecche provenienti dai roditori”, spiega Massimo Galli, presidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit). Il periodo considerato a rischio va da aprile a ottobre, ma l'allungamento dei periodi con alte temperature può estenderlo ulteriormente. Riconoscere l'encefalite da zecche, tuttavia, non è semplice poichè i sintomi d'esordio (febbre, cefalea) non sono facilmente distinguibili da quelli di altre patologie. La tecnologia può però aiutare nel velocizzare i tempi della diagnostica. Un nuovo test di diagnostica molecolare (Rt-Pcr) su un solo campione di materiale biologico, ad esempio, può individuare la presenza di uno dei sette agenti patogeni collegabili al morso di una zecca in un paio d'ore. Attraverso le informazioni ottenute sequenziando il Dna, inoltre, sottolinea Carlo Roccio, componente del comitato ricerca, sviluppo e innovazione di Federchimica, “si può tipizzare il microrganismo differenziando quelli con differente risposta alle terapie o con maggior virulenza”.