Il volontariato è fondamentale in sanità e soprattutto in campo oncologico per stare vicino al paziente e alla sua famiglia lungo un percorso che va dalla prevenzione, alla cura, al supporto psicologico ed emotivo. A Milano il convegno “Volontariato in oncologia” ha offerto l’opportunità di approfondire la relazione di aiuto col malato e i suoi familiari. Nel campo dell'associazionismo, la Lombardia è la prima regione in Italia con 8 mila associazioni iscritte nel registro regionale del volontariato. La vicepresidente del Consiglio regionale, Francesca Brianza sottolinea che il mondo del volontariato rappresenta una forza propulsiva imprescindibile. “Se in Lombardia abbiamo raggiunto risultati di eccellenza nel campo della cura e prevenzione delle patologie oncologiche, lo dobbiamo anche al preziosissimo lavoro dei tanti volontari che operano in stretta sinergia con le istituzioni e che potranno sempre contare sul nostro sostegno- spiega Brianza-. Non si parla solo di sconfiggere la malattia, ma di prendere in carico la persona con tutte le sue necessità e i suoi bisogni”.
Il modello lombardo
In Lombardia il bilancio regionale si occupa al 90% di sanità, ma non basterebbe il sistema sanitario, pur eccellente in Lombardia, se non ci fosse il volontariato a supportare il paziente e le famiglie. Se non ci fossero i volontari, il costo sociale della cura dei più deboli sarebbe altissimo e difficilmente sostenibile. Riccardo Perrone, vicepresidente dell'associazione “Lorenzo Perrone Onlus” riferisce a LaPresse alcuni dati del rapporto Censis, soffermandosi in particolare su come la malattia oncologica impone costi elevatissimi ai pazienti e alle sue famiglie. Sarebbero 36,4 miliardi di euro annui le spese sostenute, di cui oltre 5,8 spese dirette (mediche e non mediche, come colf, trasporti, spese alberghiere e diete speciali) e oltre 30 miliardi di costi indiretti. La perdita dei redditi da lavoro dei malati peserebbe invece per 10,5 miliardi (oltre il 29%), quella per i caregiver per altri 6,45 miliardi (il 17,7%). “Almeno un malato su 5 deve lasciare il lavoro a causa della malattia e il 5,5% dei caregiver, ossia 1 su 20, perde il lavoro”, spiega Perrone.
La scoperta
Diventa possibile evitare la chemio per oltre 24.100 donne, in Italia, con tumore della mammella metastatico, che ora possono essere trattate con una combinazione di ormonoterapia e terapia mirata. Un'analisi di 140 studi, per un totale di 50.029 pazienti, pubblicata su “The Lancet Oncology”, ha infatti dimostrato che l'associazione di ormonoterapia e dei nuovi farmaci a bersaglio molecolare (inibitori di Cdk4/6) è migliore rispetto alla sola ormonoterapia standard. La sopravvivenza libera da progressione è raddoppiata, ma non solo. Nessun regime di chemioterapia si è dimostrato più efficace rispetto alla combinazione. Lo studio, precisa Adnkronos, è il risultato di una collaborazione internazionale, coordinata dai professori Mario Giuliano, dell'Università Federico II di Napoli, e Daniele Generali, dell'Università di Trieste, con la partecipazione di molti ricercatori italiani. “Nel nostro Paese, nel 2018, sono state stimate 52.300 nuove diagnosi di carcinoma della mammella e circa 37 mila donne vivono con la malattia in fase metastatica – afferma all’Adnkronos, Lucia Del Mastro, responsabile della Breast Unit dell'Irccs ospedale Policlinico San Martino di Genova – La ricerca ha coinvolto pazienti in postmenopausa con la patologia metastatica, positiva per i recettori ormonali e negativa per il recettore Her2 (fattore umano di crescita epidermica). Si tratta di un sottotipo che include circa il 65% di tutti i casi metastatici”.
Un passo avanti
Questa analisi è molto importante, secondo l'oncologa, perché per la prima volta pone a confronto, in prima e seconda linea, l'efficacia dei regimi oggi disponibili di chemioterapia e ormonoterapia, con o senza terapie mirate. E conferma quanto stabilito dalle linee guida internazionali, che raccomandano, anche in prima linea, l'impiego dell'ormonoterapia (con o senza terapie mirate), posticipando l'uso della chemio in queste pazienti. Con un guadagno “in termini di minore tossicità. “Nonostante le raccomandazioni internazionali, oggi la chemio è ancora diffusa nella pratica clinica: ci auguriamo che l'analisi pubblicata su The Lancet Oncology possa cambiare la tendenza. Le nuove opzioni terapeutiche costituite dagli inibitori di inibitori di Cdk4/6 infatti garantiscono quantità e qualità di vita- evidenzia- ,Servono opzioni terapeutiche innovative – spiega Giuliano – Gli inibitori di Cdk4/6 rappresentano una nuova strategia nella gestione del tumore del seno metastatico positivo per i recettori ormonali e Her2 negativo. In queste pazienti, la pratica clinica si sta progressivamente allontanando dall'impiego della chemioterapia per adottare la combinazione, in prima linea, di diverse molecole a bersaglio molecolare con la terapia endocrina”.