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Stati vegetativi: una nuova speranza dalla medicina

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Le nuove scoperte in ambito medico abbinate al progresso tecnologico e della scienza medica hanno suscitato negli ultimi anni un serio dibattito etico e sociale sulle questioni connesse al fine vita. In modo particolare quando il malato versa in stato vegetativo, ossia la condizione in cui il paziente non riesce a interagire con il resto del mondo (e dunque neppure ad esprimere la propria volontà sul proseguire o meno a vivere) nonostante conservi aree del cervello tecnicamente intatte e attive. 

Eluana

Emblematico il caso di Eluana Englaro, la donna che, a seguito di un incidente stradale, ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni, fino alla morte per disidratazione sopraggiunta il 9 febbraio del 2009 a seguito dell'interruzione della nutrizione artificiale. La sua situazione diede avvio a una lunga vicenda giudiziaria tra la famiglia, sostenitrice dell'interruzione del trattamento, e la giustizia italiana. La richiesta della famiglia di interrompere l'alimentazione forzata, considerata un inutile accanimento terapeutico, scatenò in Italia un notevole dibattito sui temi legati alle questioni del fine vita. Dopo un lungo iter giudiziario, l'istanza dei genitori venne accolta dalla magistratura per due motivi: la mancanza di possibilità di recupero della coscienza; la ricostruzione della volontà della ragazza, che – secondo le testimonianze delle amiche e dei genitori stessi – sembra avesse più volte sottolienato di preferire la morte allo stato vegetativo.

La storia di Eluana divise la politica e l'opinione pubblica tra quanti – prevalentemente cattolici – si dichiararono contrari all'interruzione della nutrizione artificiale mediante sondino nasogastrico perché considerata equivalente all'eutanasia (pratica vietata in Italia) e coloro che erano favorevoli al rispetto della ricostruita volontà della diretta interessata pur in assenza di un formale testamento biologico. Alla base della divisione, la possibilità o meno di uscire da quello che viene definito – in modo erroneo – lo “stato vegetativo permanete”.

Stati vegetativi

Lo stato vegetativo viene infatti suddiviso e definito in “persistente” – se protratto nel tempo – e “permanente” quando si presume che sia irreversibile. Esistono tuttavia ancora molte controversie sia da un punto di vista medico che legale sul fatto che questa condizione sia irreversibile o meno. Lo stato vegetativo va distinto sia sul piano clinico che giuridico, dalle condizioni definite come morte cerebrale o coma irreversibile. In questi casi è presente la completa e permanente perdita di attività dell'encefalo, confermata dalle registrazioni elettrofisiologiche, e delle funzioni vitali correlate, fra cui l'attività respiratoria. La morte cerebrale è, quindi, una condizione completamente diversa dallo stato vegetativo, che non viene riconosciuto come “morte” in nessun codice legislativo.

La persona in stato vegetativo mette inoltre la medicina di fronte a un apparente paradosso: il paziente è vivo, celebralmente sveglio eppure privo di coscienza. Due anni fa l'equipe medica guidata dal neurofisiologo Marcello Massimini – docente dell’università Statale di Milano e del Coma Science Group dell'Università di Liegi – ha scoperto che, “benché la maggior parte dei pazienti presenti ampie regioni di corteccia cerebrale intatte e attive dal punto di vista metabolico ed elettrico, la mancanza di coscienza è determinata dal fatto che queste isole di cervello risultano incapaci di dar vita a interazioni complesse con le altre regioni corticali”. Una condizione, questa, necessaria perché la coscienza possa essere generata e sostenuta”.

Lo stato “off-period”

Il nuovo lavoro pubblicato lo scorso ottobre a firma di Mario Rosanova e Matteo Fecchio – dell’équipe di Massimini – e condotto in collaborazione con la Fondazione Don Gnocchi, ha cercato di rispondere alla domanda del perchè il cervello dei pazienti in stato vegetativo, pur essendo “attivo, reattivo”, è “incapace di sostenere risposte complesse in presenza di stimolazione”. Infatti, l'equipe di Massimini aveva prcedentemente scoperto e dimostrato che quando si perturba il cervello attraverso una stimolazione esterna si ottiene una risposta elettrica semplice, indice di una mancanza di interazioni fra le aree cerebrali. La conclusione alla quale sono arrivati i ricercatori dopo una nuova serie di indagini è che “l’incapacità del cervello dei pazienti in stato vegetativo di sostenere le interazioni complesse che caratterizzano lo stato di piena coscienza è dovuta alla tendenza patologica dei circuiti corticali a collassare in un breve periodo di silenzio neuronale ogni volta che ricevono un segnale dall’esterno o vengono perturbati”.

Questo silenzio è stato chiamato “off-period” ed è quello che si osserva anche tra le persone sane nelle fasi di sonno profondo. “Gli off-periods – spiegano gli scienziati – bloccano sia le riverberazioni locali necessarie all’elaborazione di qualunque segnale in ingresso, sia le interazioni complesse tra le aree corticali distanti tra di loro, necessarie perché si generi coscienza”.

Il nuovo studio porta grandi risvolti non solo sul piano medico, ma anche su quello umano. “La nostra scoperta – hanno infatti evidenziato Rosanova e Fecchio – ha rilevanza, oltre che per l’avanzamento della nostra comprensione delle alterazioni della coscienza, anche per gli aspetti clinici che coinvolge, poiché mette in relazione eventi locali potenzialmente reversibili come gli off-periods con dinamiche cerebrali globali, fondamentali nel determinare la perdita e il recupero di coscienza in seguito a lesioni cerebrali”. Lo stato vegetativo persistente è dunque reversibile? E' troppo presto per dire sì, ma di certo questa nuova ricerca è il primo passo di un percroso che forse un giorno permetterà di far tornare coscienti persone spesso considerate “senza speranza”.

Milena Castigli: