Se qualche anno fa fosse stato chiesto all'italiano medio di assaggiare una cavalletta o una locusta, probabilmente avrebbe reagito in maniera tutt'altro che accondiscendente. Oggi, stando a un'indagine recente condotta dalla Doxa per conto di Rentokil Initial, il 40% degli italiani sarebbe pronto a mangiare insetti. Dobbiamo dunque rassegnarci al dominio della globalizzazione, capace di sradicare anche un baluardo d'identità dei popoli come l'enogastronomia? In Terris lo ha chiesto al prof. Ettore Capri, docente di Chimica agraria presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, autore di vari libri tra cui, scritto insieme ad Antonia Corina, “Una sana informazione alimentare” (ed. Mattioli, 2016). Sul tema invita alla prudenza.
Professore, la stupisce il risultato di questo sondaggio?
“Noi italiani ci siamo contraddistinti da sempre per essere degli onnivori, pertanto abbiamo una dieta molto varia. Nel caso specifico, tuttavia, mantengo delle riserve: un conto è dichiararlo, un conto è assaggiare davvero gli insetti. Ci dovrà essere un motivo se, benché abbiamo convissuto con gli insetti dall'origine dei tempi e pur essendo apprezzati da un miliardo e mezzo di persone ad altre latitudini, noi non li abbiamo mai inseriti nella nostra dieta. La storia non si cambia”.
C'è una repulsione dovuta al loro aspetto?
“Non tanto questo. Un gambero o una mazzancolla sono molto simili a una cavalletta o a un bruco. Anzi, forse sono anche un po' più brutti: sono più aculei, hanno più occhi… E sono praticamente uguali dal punto di vista biologico e nel comportamento alimentare: vivono come spazzini nei sedimenti e nel suolo cibandosi di rifiuti organici, cadaveri di altri animali inclusi”.
Allora qual è il motivo della riluttanza?
“C'è una barriera culturale che non si può scardinare. Gamberi e mazzancolle – a parte che sono buoni – vivono in acqua, ambiente che nel nostro immaginario è puro, pulito (anche se oggi si è sviluppata una sensibilità sull'inquinamento marino). Al contrario, associamo gli insetti ad ambienti che poco o nulla hanno di igienico-sanitario: la terra, la polvere, l'immondizia, gli escrementi, i cadaveri di altre specie animali. E molti insetti si nutrono di questi organismi”.
Dal punto di vista sanitario c'è da temere qualcosa?
“Assolutamente sì. Soprattutto per noi italiani, che non abbiamo una tradizione alimentare di questo tipo, mangiare insetti può far insorgere intolleranze, infezioni, tossinfezioni. Non per niente l'Autorità per la sicurezza alimentare (Efsa) ha stabilito delle regole ferree sull'autorizzazione all'allevamento di insetti e alla produzione di cibo umano. C'è una regola contenuta nella legislazione italiana – che su questo fronte è forse la più affidabile al mondo – che è di buonsenso: qualsiasi cibo che presenta aspetti estetici di deterioramento non va commercializzato. Ebbene, un indice per valutare se un cibo è deteriorato è la presenza anche soltanto di una larva, di un verme o di una mosca. Le faccio un esempio: se anche si trova una zampetta di insetto in un chilo di farina, quel campione non può essere venduto. Non si tratta di estremismo, ma di principio precauzionale, perché se c'è traccia di un insetto, evidentemente le condizioni di conservazione del prodotto alimentare sono inadeguate. E ora quella zampa d'insetto vogliamo mangiarla? Possiamo anche farlo, purché l'insetto sia allevato in condizioni igienico-sanitarie corrette, come avviene per tutti gli altri cibi. Sa cosa ne deriva?”.
Mi dica…
“Che i costi per gli allevatori sono molto alti, di conseguenza è alto anche il prezzo del prodotto per il consumatore. Ecco allora che gli insetti sono destinati solo a diffondersi ulteriormente come mangimi per animali e a diventare cibo umano per una nicchia di mercato, uno sfizio da mangiare a piccole dosi una volta ogni tanto. Del resto il nostro organismo, per le ragioni di abitudini alimentari di cui parlavo prima, non tollera alcune parti degli insetti”.
Gli insetti saranno o no il cibo del futuro?
“Non credo proprio, oltre ciò che ho già detto, credo sia debole il motivo che sta dietro questa promozione degli insetti come cibo: la sostenibilità. Si ritiene che essi possano rappresentare fonti alternative di cibo per una popolazione umana oggettivamente in aumento su scala globale, specie in zone dove l'accesso al cibo è limitato. È vero che gli insetti sono una grande opportunità perché sono fonte proteica e di zuccheri per eccellenza, ma per produrre la stessa dose di proteine che oggi otteniamo dagli animali da allevamento è necessaria una quantità di insetti tale da sommergerci. Insomma, sarà pure giusto non avere preclusioni aprioristiche, ma ritengo che questo novel food non farà mai concorrenza ai prodotti tipici dell'Italia: noi siamo un popolo dalle caratteristiche culinarie basate sull'identità, la globalizzazione non arriva sulle nostre tavole. A meno che, non ci siamo messi in tesa di voler distruggere del tutto la nostra agricoltura”.