Il recente caso della Toscana, dove 30 persone sono morte per infezione del sangue dopo essersi ammalate del batterio New Delhi, ha riportato sotto i riflettori dell'opinione pubblica due importanti problemi. Quasi delle emergenze. Si tratta della resistenza agli antibiotici, negli ultimi anni sempre più farmaci si sono rivelati inefficaci contro gli agenti patogeni, e dell'uso che ne facciamo, superiore al resto d'Europa. Siamo infatti il Paese comunitario con più decessi legati al fenomeno dell'antibiotico-resistenza. Oltretutto, le due cose sono strettamente collegate: un maggior consumo di questi medicinali, soprattutto quando non servono, ha consentito ai microrganismi di evolversi e diventare più forti delle nostre difese. Lasciandoci esposti a un pericolo ben più grave di quelli che finora hanno maggiormente spaventato l'umanità. Si è calcolato che le infezioni da batteri antibiotico-resistenti potranno diventare la prima causa di morte al mondo entro pochi decenni. Non bastano la ricerca e lo sviluppo di nuove medicine, secondo l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) è necessario anche educare a un uso appropriato e corretto degli antibiotici.
Antibiotico resistenza
Dieci milioni di morti all'anno entro il 2050 saranno legate a ceppi batterici resistenti agli antibiotici. Questa è la stima fatta nel 2016 dal Review on Antimicrobial resistance, lo studio commissionato dal 2014 dall'allora primo ministro britannico David Cameron all'economista inglese Jim O'Neil. Il quale ha commentato così quel numero: “Il pericolo per la salute umana rappresentato dall'antibiotico resistenza è molto più preoccupante del crac finanziario del 2008″. Perché sarà una cifra ben più alta di quella dei morti per tumore, 8,2 milioni di morti all'anno a livello globale, e per diabete, 1,5 milioni. L'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) spiega che il fenomeno per cui i batteri diventano più forti del farmaco che deve ucciderli o almeno fermarne la crescita è un fenomeno che esiste in natura ma è accentuato dall'uso scorretto dei farmaci, che è può colpire tutti indistintamente dal sesso, dall'età e dal paese in cui si vive e che aumenta i costi per il sistema sanitario nazionale, obbligando i malati a periodi di degenze più lunghi. Ma l'allarme principale l'Oms lo lancia sul numero crescente d'infenzioni sempre più difficili da curare, in seguito alla perdita di efficacia dei medicinali per il loro trattamento. Si stanno rifacendo sotto in maniera preoccupante , ha sottolineato l'agenzie della Nazioni unite, polmonite, tubercolosi e gonorrea. Riporta Epicento, il portale epidemiologico del servizio sanitario pubblico, che secondo l'Oms ogni anno in Europa quattro milioni di persone sono colpite da infezioni legare alla resistenza da antibiotici e ne muoiono circa 33mila. Nel resto del mondo, due milioni di statunitensi ne sono colpiti e i decessi sono 50mila.
(Ab)uso dei farmaci
L'Italia è il paese europeo dove si registra il maggior numero di morti legate all'antibiotico resistenza: i dati più recenti parlano di 10mila decessi all'anno. La maggior parte avviene in ambienti ospedalieri, quelli dove sono più diffusi i micropatogeni antibioticoresistenti. Uno dei motivi di questo alto tasso di mortalità è legato all'elevato consumo che gli italiani fanno degli antibiotici: 25,5 dosi ogni mille abitanti al giorno. Le cause possono essere diverse, come l'inappropriatezza delle prescrizioni mediche – il dottore che indica un po' troppo spesso di ricorrere a un dato medicinale – o l'abuso da parte dei consumatori, che ricorrono all'antibiotico anche quando non serve. Come nel caso di influenza, raffreddore, gastrointerite. Queste infatti sono dovute ai virus, non ai batteri. L'Agenzia italiana del farmaco ci tiene a sensibilizzare il cittadino che serve un cambiamento culturale, un rinnovamento sull'uso dei farmaci. Questi vanno presi quando servono e per il periodo che servono, in altro modo l'utilizzo non è efficace e mette a repentaglio la salute. La minaccia maggiore nel nostro paese è rappresentata da un particolare caso di microrganismo, il Klebsilella pneumoniae, che è molto resistente agli antibiotici carbapenemici, quelli usati per le infezioni ospedaliere, ed è la maggiora causa di morte tra i decessi legati all'antibiotic-resistenza.
Il protocollo
Dopo 18 anni, il ministero della Salute ha emesso lo scorso 18 gennaio il nuovo protocollo “Sistema di sorveglianza sentinella dell'antibiotico resistenza”. Il precedente risaliva al 2001. Il documento rientra nel “Piano nazionale di contrasto all'antimicrobico-resistenza” (Pnacr) e prevede la cooperazione tra lo Stato e le Regioni nel monitoraggio e nell'aggiornamento dei dati. Il nuovo protocollo richiede un regolare rilevamento dei dati ospedalieri, l'accurata descrizione degli agenti patogeni, la loro incidenza. Dispone inoltre studi microbiologici su quei ceppi particolarmente resistenti ai farmaci e preannuncia periodici controlli esterni, così da confrontare i risultati ottenuti in quella data struttura con altri a livello regionale, nazionale e europeo. Mentre nella Penisola si redigono nuove linee guida, gli esperti internazionali spingono per il rinnovamento delle sperimentazioni per la valutazione dell'efficacia dei farmaci. Lo scrive la rivista The Lancet Infectious Diseases. Secondo gli studiosi, è giunto il momento di lasciarsi alle spalle i cosiddetti “studi di non inferiorità”, che si limiterebbero a testare che il nuovo farmaco da mettere in commercio non sia meno efficace del predecessore (con un notevole risparmio), e procedere a test clinici randomizzati sulle molecole per poter intervenire durante il periodo di sperimentazione. Altrimenti, resta sempre l'ipotesi suggerita da O'Neil: chi non investe in ricerca e sviluppo di nuovi antibiotici si vedrà caricare degli oneri finanziari aggiuntivi.