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La salute psicofisica? Racchiusa in un granello di sabbia

La sand play therapy (SPT) – o terapia del gioco con la sabbia – ideata negli anni '50 e diffusa in tutto il mondo, è una metodica fondamentale per aiutare i bambini a esprimere la propria creatività e a risolvere problematiche di vario tipo. La tecnica è quella di utilizzare delle cassette contenenti della sabbia a cui si abbinano oggetti comuni come conchiglie, personaggi, animali che il paziente usa per dar sfogo alla creatività e forma alla propria costruzione. Attraverso il linguaggio simbolico e l’abilità delle mani, con l’ausilio delle considerazioni che il soggetto intende scambiare con lo psicoterapeuta che lo segue, si dà espressione e traduzione materiale (quel sogno a cui si sta donando realtà) al mondo interiore che tanto angoscia e tiene prigioniero il paziente.

La sabbia, con le sue peculiari caratteristiche fisiche (a cui si può ben abbinare l’utilizzo dell’acqua), fluida e modellabile, può lasciar, così, libero spazio all’immaginazione, a comunicare l’interiore non esprimibile verbalmente (gioie, desideri, angosce). L’utilizzo di questa terapia è legato soprattutto ai giovanissimi ma può essere applicato anche a individui maturi con forti disagi psicologici, depressi o con dipendenza da sostanze (medicinali, droghe, alcol). La cassetta ha delle misure utilizzate ovunque (lunghezza 72 cm, larghezza 57 e altezza 7) che hanno lo scopo di non ampliare, eccessivamente, il campo da gioco del paziente e, al tempo stesso, di tenerlo sempre visualizzato con facilità immediata.

Condizione essenziale per la riuscita di questa terapia non verbale è la totale apertura da parte del paziente il quale deve lasciarsi guidare dalla creatività, eliminando blocchi e pregiudizi mentali. Si preferisce, in genere, evitare domande da parte dello specialista, proprio per non distrarre o interrompere il bambino che gioca. Una seduta dura, di solito, 45 minuti: tempo sufficiente per dar luogo al trasferimento di informazioni e non eccessivo da far perdere motivazioni e creatività.

L’Associazione Italiana per la sand play therapy (AISPT) si occupa di formazione, ricerca ed eventi inerenti la terapia; sul sito (www.aispt.it/) si legge “In Italia, a partire dagli anni ‘70, alcuni analisti junghiani che avevano lavorato con Dora Kalff, allieva di C.G. Jung e di Emma Jung, hanno dato il via ad una profonda elaborazione del Gioco della Sabbia che ha prodotto numerose possibilità applicative del metodo analitico che, integrando il lavoro verbale con la produzione di immagini nei quadri di sabbia, utilizza le risorse creative dell’individuo”. L’AISPT aderisce all’International Society for Sand Play Therapy (ISST, www.isst-society.com/it) insieme ad altre 15 realtà nazionali e 12 in cui sono presenti membri individuali; tutti i continenti sono rappresentati e coinvolti. 

I pedagogisti e gli psicoterapeuti considerano la sand play therapy fra le attività psicomotorie, in grado di aiutare le capacità di apprendimento dei bambini con BES (Bisogni educativi speciali), DSA (Disturbi specifici dell’apprendimento) e ADHD (Deficit dell’attenzione e dell’iperattività). Sul sito del Miur, per l’anno scolastico 2017/18, risulta quanto segue. “Il numero di alunni con DSA sul totale dei frequentanti è costantemente cresciuto ed è passato dallo 0,7% del 2010/2011 al 3,2% del 2017/2018. L’incremento del numero di certificazioni registrato nell’arco degli ultimi quattro anni è notevole: quelle relative alla dislessia sono salite da circa 94 mila a 177 mila, segnando un tasso di crescita dell’88,7%; le certificazioni di disgrafia sono passate da 30 mila a 79 mila, con una crescita del 163,4%. Anche il numero di alunni con disortografia certificata è aumentato notevolmente, passando da circa 37 mila a 92 mila (+149,3%; gli alunni con discalculia sono aumentati da 33 mila a poco meno di 87 mila (+160,5%)”.

La dislessia riguarda alcune difficoltà nella lettura e nella scrittura. La disgrafia concerne le difficoltà incontrate nel ripetere segni, parole e forme nella grafia corretta. La disortografia è l’incapacità di tradurre e scrivere, in modo esatto, i suoni ricevuti. Il disturbo legato ai numeri, ai calcoli, alla loro scrittura, prende il nome di discalculia. La necessità di intervenire con terapie efficaci, soprattutto tra i giovanissimi, è suffragata, pure, dall’aumento costante e documentato dei casi di DSA (crescita dovuta anche a una certificazione più capillare e puntuale del disagio, avviata negli ultimi anni e frutto di una maggiore conoscenza e consapevolezza del fenomeno). La SPT, pur diffusa in America, Asia ed Europa, ha faticato molto per imporsi e farsi conoscere anche in Italia, tuttora non gode di un’eco mediatica pari alla sua efficacia. È opportuno, dunque, offrire sempre più spazio a questa terapia e renderla nota a molti genitori che soffrono, quotidianamente, le apprensioni e le difficoltà dei loro piccoli.

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