Conducono una vita parallela, in disparte, lontana da una società che li fa sentire continuamente sotto pressione. Da un mondo che li schiaccia con le sue aspettative: i buoni voti a scuola, la laurea, il lavoro. Tutte cose con le quali siamo abituati quotidianamente a confrontarci senza pensare al risvolto negativo. Ogni pretesa, giudizio, rimprovero per un risultato non raggiunto è come un granello di neve che si aggrega a quelli già caduti. E' la genesi di una valanga pronta a travolgere i più fragili.
Il fenomeno
Nasce così, secondo gli esperti, il fenomeno degli “Hikikomori”, i giovani che, letteralmente, “stanno in disparte“. La scelta di un termine giapponese per definire questa condizione non è casuale. E' proprio nel Paese del Sol Levante che il disturbo ha cominciato a farsi conoscere. Lì, nella società elevata a paradigma di perfezione e civiltà da tanti esterofili miopi, l'uomo è spesso ridotto a ingranaggio residuale di un meccanismo che non tollera l'imperfezione, l'errore. Ma se il fallimento non è contemplato, sino a diventare sinonimo di disonore per l'intera famiglia, l'alternativa qual è? Farla finita o scomparire, rinchiudersi dietro quattro mura, in una sorta di morte vivente. Gli Hikikomori nipponici accertati sono circa 500 mila ma, secondo le organizzazioni che se ne occupano, potrebbero arrivare sino a 1 milione, vale a dire l'1% dell'intera popolazione del Giappone. Eppure, fuori dai confini della nazione asiatica, se ne parla poco. Grave errore. Anche perché il fenomeno ha, nel frattempo, attraversato le frontiere asiatiche e si è diffuso anche nell'Occidente industrializzato, Italia compresa.
In Italia
Per farvi fronte e sensibilizzare l'opinione pubblica, nel Bel Paese è nata l'associazione “Hikikomori Italia” che offre “informazione e supporto sul tema dell'isolamento sociale volontario”. Stime non ufficiali parlano di almeno 100 mila casi sul territorio italiano, la maggior parte riguardano giovani di sesso maschile di età adolescenziale, ma anche il numero di ragazze coinvolte sarebbe in crescita. L'errore più comune è quello di confondere l'autoisolamento con la depressione. “Si tratta di una falsa credenza, nonché di una banale semplificazione” ha spiegato recentemente all'Agi Marco Crepaldi, presidente di “Hikikomori Italia”. Il problema è più complesso e questo, ovviamente, ne rende più ardua la diagnosi.
Cause
Le cause possono essere diverse, a partire da quelle caratteriali. Gli hikikomori sono giovani spesso intelligenti ma anche introversi e sensibili. Questo rende difficile sia l'instaurazione di rapporti duraturi e soddisfacienti sia il confronto con l'insuccesso. Possono esserci poi fattori familiari, come ad esempio, il cattivo rapporto con il padre o l'eccessivo attaccamento alla madre. La scuola è un elemento determinante. Un campanello d'allarme del disturbo può essere il rifiuto di frequentare le lezioni. La classe viene solitamente percepita come un ambiente ostile e spesso, dietro l'autoisolamento, si celano episodi di bullismo. Un altra causa può essere una visione particolarmente negativa e pessimistica della società, che viene rifiutata tagliando ogni legame con l'esterno. La dipendenza da internet, invece, non avrebbe alcun ruolo nella genesi del disturbo, nonostante gli hikikomori passino gran parte della propria giornata online.
Fuori dal mondo
Quale che sia la causa, l'effetto è sempre lo stesso: le aspettative sociali provocano frustrazione, di conseguenza il giovane sarà portato ad allontanaresene, chiudendosi per giorni o mesi nella sua stanza, dove si sentirà al riparo dal sentimento di vergogna. Hayashi Kyoko, una ragazza giapponese uscita dall'incubo, ha raccontato così a Nippon.com quel periodo:”Passavo tutto il tempo a criticarmi… tutto ciò che facevo era svegliarmi, mangiare, defecare, respirare. Ero come un cadavere vivente. Non riuscivo a trovare nulla in me che valesse qualcosa. Pensavo che la mia vita non avesse senso“.
Sintomi e cura
Diversi i campanelli d'allarme che possono indicare l'insorgenza della sindrome. Quello più comune è il rifiuto di recarsi a scuola. Ma ci sono anche l'inversione del ritmo veglia-sonno, l'autoreclusione nella propria camera e lo svolgimento di attività solitarie. I rimedi sono diversi: si va dall'approccio psicoterapeutico a quello psichiatrico, eventualmente anche attraverso la somministrazione di psicofarmaci. Importante è poi la “risocializzazione” del soggetto, mediante l'allontanamento dall'ambiente protetto (la casa) e l'inserimento in comunità di persone affette dalla stessa patologia. E' un percorso lungo, nel quale non mancano le recidive. Per questo l'arma più efficace resta quella della prevenzione: dialogare, capire, intervenire per tempo. Anche una carezza o una parola di sostegno possono salvare una giovane vita dall'oblio dell'auto-esclusione.