Il 29 aprile 1961 Luciano Pavarotti (considerato fra le voci tenorili più belle di sempre), debuttò nella lirica sul palcoscenico del Teatro Municipale di Reggio Emilia. Proprio quell’anno era riuscito a ottenere un primo successo grazie alla vittoria nel Concorso Internazionale Achille Peri (compositore emiliano), riconoscimento che gli valse, a tutti gli effetti, la consacrazione ufficiale come straordinario Rodolfo ne “La Bohème” di Giacomo Puccini, diretta da Francesco Molinari Pradelli con la regia di Mafalda Favero. L’allora 25enne visse una serata memorabile, quella che lo lanciò, definitivamente, in un mondo di successi e riconoscimenti, in un ruolo che (come egli stesso ammise) gli fu sempre particolarmente caro. Per ricordare quel momento le parole di Nicoletta Mantovani, moglie del tenore, ad Interris.it
In foto Nicoletta Mantovani, seconda moglie di Luciano Pavarotti
A 13 anni dalla sua morte Pavarotti resta, ad oggi, il cantante lirico per eccellenza, universalmente riconosciuto e unanimemente amato. Sembra quasi ci sia un particolare segreto nell’uomo oltre che dietro l’artista. É così?
“Il segreto di Luciano credo fosse ovviamente nella sua voce, ma anche nella sua anima. Era una persona vera, che aveva come missione di vita quella di rendere omaggio al dono che aveva ricevuto. Per questo motivo ha studiato fino all’ultimo giorno, sempre in competizione con se stesso e mai con gli altri. Era molto solare e positivo e grazie a questa gioia che gli scaturiva dall’anima, riusciva a toccare il cuore delle persone facendo nascere sempre un’emozione in chi lo ascoltava”.
Luciano Pavarotti canta “Nessun dorma” dal Turandot (The Three Tenors in Concert 1994)
Com’è stato e cosa ha significato condividere un pezzo della Sua vita accanto a una figura di tale portata? Cosa ha ‘assorbito’ e fatto particolarmente proprio, standogli accanto?
“Sono stata molto fortunata ad incontrarlo. Per me è stato un grande compagno, ma anche un grande insegnante. Mi ripeteva sempre di credere nella vita e nelle persone, di cercare sempre il lato positivo in chiunque incontrassi, di dimenticare il pregiudizio. Questo, a suo parere, avrebbe reso migliore la mia vita, e aveva ragione. Mi ricordava sempre, che siamo al mondo per imparare e di non andare mai a letto senza aver imparato qualcosa di nuovo ogni giorno”.
Il film che Ron Howard gli ha dedicato, messo in onda proprio qualche sera fa su Rai 1, ha toccato corde particolarmente sensibili in ognuno di noi. Com’è nata l’idea di quello splendido documentario che narra di un Pavarotti quasi antidivo, seppur leggenda?
“La volontà, condivisa con la sua casa discografica, è stata quella di creare un documentario che potesse raccontare l’uomo che si celava dietro l’artista e Ron Howard l’ha fatto in maniera egregia, ripercorrendo il viaggio interiore di un uomo che ha messo la passione in qualsiasi cosa facesse”.
Nel privato, nel quotidiano, c’era più Pavarotti, il grande tenore, o l’uomo-Luciano?
“Erano imprescindibili, la verità di Luciano era totale, non cambiava mai atteggiamento; sia che fosse sul palco o in casa, la sua personalità solare rimaneva sempre la stessa. Era bellissimo stargli accanto, perché la sua felicità era contagiosa. In più amava sostenere le persone accanto a lui e non solo, riusciva a far emergere le capacità di ognuno che si avvicinasse a lui”.
Luciano è sempre stato molto vicino anche agli ultimi. Come nacque l’idea Pavarotti and friends?
“ìPavarotti and friends’ nacque nel 1992 con l’idea di diffondere la lirica anche a chi non la conosceva o non voleva avvicinarsi a questo genere, considerato a volte ostico. Luciano era figlio di un periodo storico in cui l’opera veniva cantata in strada da tutti, ed era lì che la voleva riportare. Così pensò di farlo accomunando generi diversi, che potessero coinvolgere un pubblico più vasto. Sempre per aiutare chi aveva meno fortuna nella vita, specialmente i bambini vittime della guerra. Questo gli stava particolarmente a cuore essendo stato anche lui un bambino ‘di guerra’. Era nato nel 1935 e si ricordava sempre di come la musica, cantata tutti insieme, gli facesse passare la paura dei bombardamenti”.
La forza della musica unisce, è risaputo. Ancor più durante periodi di difficoltà, di guerra, di – come in questo caso – grave emergenza sanitaria. L’attuale pandemia, in fondo, ha creato un’atmosfera molto simile a quella di un conflitto. Ed ecco che, allora, l’Arte tiene coesi, costruisce ponti e abbatte muri. Era questa la forza di Pavarotti?
“Luciano ha sempre ritenuto che la musica e lo sport rappresentassero due linguaggi universali, capaci di unire qualsiasi differenza, perché entrambi coinvolgono emozioni e valori che sanno toccare l’anima di tutti”.