E' passato già un anno dalla scomparsa di Sergio Marchionne, lo straordinario amministratore delegato di Fiat, che con un lungo e costante impegno, ha resuscitato la Fiat moribonda, e dalle ceneri, come l’araba fenice, facendola rinascere come Fca: una società Italo-americana dell’industria della mobilità, tra le più potenti del mondo. Chi riesce ad ottenere simili risultati, affronta ostacoli giornalieri, incomprensioni e contrasti dovuti a interessi opposti, alle realtà della conservazione, persino gelosie ed invidie nel mondo imprenditoriale. Infatti, in tutto il suo lungo tragitto di impegno per la società di automobili torinese, ne ha passate di tutti i colori con politici ostili alla sua impetuosa richiesta a che ognuno facesse il proprio mestiere; i governanti a regolare e sostenere l’impresa non con soldi ma con la regolazione e fortificazione del sistema; ai sindacati di mirare a contratti per salari più alti legati alla produttività, alle stesse associazioni imprenditoriali di essere più rigorosi nel rappresentare gli industriali anziché mischiarsi alla politica; ai media ad avere una condotta responsabile rispetto agli interesssi generali del paese. Ora che il manager Italo-canadese è scomparso da un anno, tutti tessono le sue lodi. Ma vi assicuro che nel pieno della sua impresa straordinaria ha avuto pressoché tutti contro. Non era solo un fatto di invidia, di interesse, o di ideologia. C’era un qualcosa di ancora più sottile ma pericoloso per i più: nessuno vuole assistere al successo di chicchessia, sul terreno su cui falliamo, a causa dei nostri ritardi, comodità, negligenze.
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