Mi è capitato ieri, come in altre occasioni: arriva un giornalista con cameraman sotto casa, e suona perché avrebbe deciso di farmi un'intervista. Suona il campanello, come se fosse a casa sua; nessun appuntamento fissato tra noi; nessun contatto precedente a questo; per lui tutto normale e dovuto. Stigamtizzo l’accaduto e mi lamento perché non ci si comporta così. Risponde che non avendo il mio numero di telefono, non avrebbe potuto fare diversamente. “Pazienza” ho pensato! La dinamica, seppur sgradevole, devo ammettere che non è stata pari ad altre situazioni altrettanto incivili e irrispettose di ogni codice etico. Più volte è anche capitato – dopo essere sbucati all'improvviso, aver puntato il microfono quasi dentro la bocca e la cinepresa addosso sugli occhi – con tono alterato hanno chiesto: “È vero che…”. Se poi protesti per l'inciviltà al confine con l'illegalità, ti rispondono che funziona così e che chi svolge una funzione pubblica deve sottostare a queste regole non scritte. Da molto tempo, riflettendo su queste vicissitudini, sono riuscito a darmi una risposta sulla crisi e sulla confusione imperante nel sistema di informazione, che è pari a quella dell’ambiente politico. Continuerò a credere che dove non c’è rispetto e attenzione per il buon senso e la legge, l'incivilizzazione si espanderà a macchia d’olio.