Non c’è giorno che non si apra un giornale italiano che non parli male del Tycoon: il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Ho sempre pensato che, sotto sotto, l’antipatia e l’avversione politica spinge a descrivere in modo assai ingeneroso le politiche che porta avanti. Lo attaccano per i modi diretti e talvolta spiazzanti che usa, talune decisioni che cozzano con il bon ton e per la mancanza di stile diplomatico che è sempre raccomandato per chi svolge un grande ruolo istituzionale, figuriamoci nel rappresentare la più grande potenza mondiale. Ma il fatto che i commentatori di politica estera difficilmente prendano nella reale e giusta considerazione la sua politica economica per gli Usa, comincia ad essere imbarazzante. Infatti in campagna elettorale per essere votato aveva promesso di riportare negli States le produzioni industriali, oramai esternalizzate generalmente in estremo oriente, a fronte di sole attività finanziarie eccessivamente espanse nel tempo. Trump ha iniziato subito dal suo insediamento presidenziale, una offensiva economica, tutta orientata ad moltiplicare posti di lavoro, attraverso la riduzione drastica di tasse per imprese e persone fisiche che ha ridotto la disoccupazione praticamente sullo zero. Insomma, le imprese hanno investito nuovamente in America del Nord, quindi la disoccupazione è stata debellata. Trump, in definitiva, ha fatto tutto quello che dovrebbe fare un buon governante: si è occupato del problema primario della sua nazione. Forse per questo non piace; fa quello che gli altri governanti difficilmente fanno.