Non passa giorno in Parlamento che non avvenga un cambio di casacca. Dallo scorso mese di settembre, appena ripresi i lavori parlamentari dopo la pausa feriale e fino all’inizio di quest’anno, si sono registrati 67 cambi da un gruppo politico a un’altro. Oramai son anni e anni che questo avviene, e a ben vedere i fenomeni, chiamiamoli politici, continueranno a moltiplicarsi nella sostanziale indifferenza della opinione pubblica che ormai si è abituata a questo malcostume. Certamente questo andirivieni non fa bene alla Democrazia italiana, sia per la reputazione dei singoli parlamentari sia per la instabilità a cui vengono esposte le istituzioni, sia per la credibilità del sistema politico. Si pensi che nella scorsa legislatura i ‘cambiamenti’ hanno interessato ben 569 tra deputati e senatori: a conti fatti ben 2/3 l’intero corpo di rappresentanza nazionale. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha più volte chiesto ai gruppi politici di rendere più difficili i passaggi con nuovi regolamenti di funzionamento del parlamento, ma sarebbe una soluzione più negativa del male che si dice di voler combattere. Se si vuole farlo davvero, si rendano più democratiche le attività dei partiti; i leaderismi procurano facilmente strappi con chi non vuole sottomettersi a soluzioni non mediate. Ma il nodo principale sono le preferenze negate per le competizioni elettorali nazionali. Infatti se ci fosse un rapporto diretto tra elettore ed eletto, difficilmente avverrebbero i salti della quaglia recenti. Il cambiamento di opinione dell’eletto sarebbe non compreso e quindi penalizzato nel voto futuro. È un grave fatto che i cittadini spesso neanche sanno chi sono i propri rappresentanti, perché scelti dal capo politico. La realtà cruda odierna è che si salta il fossato quando il leader che li ha scelti, viene percepito come perdente, ed al contrario si va incontro ad un’altro ritenuto al momento più potente che lo può garantire per ottenere lo scranno in futuro. Se le cose stanno così, chi è sovrano il popolo o i leader?
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