Dalla strada alla casa dei frati di Assisi: la rinascita di Yurek

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La casa Caritas “Papa Francesco” di Santa Maria degli Angeli (in provincia di Perugia) è un centro di prima accoglienza della Diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, dove, dal 1994, vengono accolti poveri e senzatetto soprattutto di passaggio e si presta anche un servizio docce e mensa. Qui dal 2014 vive una fraternità di frati minori della Porziuncola per aiutare la Diocesi in questo delicato, ma prezioso, servizio di frontiera.

La testimonianza

“Ormai da inizio settembre 2018 vivo in questo Centro insieme a fr. Emanuele e fr. Stefano”. A raccontare la propria esperienza diretta presso la Casa Papa Francesco di Santa Maria degli Angeli (a pochi chilometri da Assisi, in provincia di Perugia) é uno dei responsabili della struttura, fra Emanuele Gelmi.

A In Terris fra Gelmi aveva parlato lo scorso 29 luglio – festa del Perdono d’Assisi – dell’importanza dell’indulgenza plenaria in una società secolarizzata come la nostra. Fra Emanuele ha scoperto la sua vocazione quasi per caso durante un ritiro spirituale ad Assisi. Non pensava che quella sarebbe un giorno diventata la sua casa e i poveri la sua missione.

Fra Emanuele Gelmi e Papa Francesco

Casa Papa Francesco

“Qui al centro – racconta fra Gelmi a In Terris – si trova un ambiente accogliente e sicuro, dove per un poco si possono dimenticare le fatiche del mondo, ma questa oasi di pace non deve essere una fuga dalla realtà, bensì una ‘stazione di servizio’ dove ricaricarsi e poter ripartire potendo contare sull’aiuto di persone che, contrariamente a quello che spesso accade fuori, non vogliono ‘fregarti'”.

Non mero assistenzialismo

“Tutto pare tranquillo, ma rifletto sul fatto che questa calma non descrive pienamente la realtà del nostro Centro. Attualmente, a causa della chiusura per emergenza Covid-19, accogliamo 5 persone, italiane e non, ciascuna con una diversa situazione difficile alle spalle e con un altrettanto complicato presente”.

“Con tutti loro – prosegue fra Emanuele – cerchiamo di compiere un percorso che li possa aiutare a ritornare a vivere in maniera il più possibile autonoma, questo perché l’aiuto vuole essere uno strumento per ridare loro dignità ed umanità e non un mero assistenzialismo senza futuro“.

Per percorrere questa strada servono molte energie da spendere soprattutto per conoscere chi si ha innanzi: solo comprendendo al meglio le loro storie si può pensare di creare un progetto il più possibile efficace per aiutarli”.

L’amarezza del fallimento

“L’entusiasmo non manca da parte nostra, così come le numerose collaborazioni con gli enti locali, i servizi sociali, la Diocesi ecc., gli ingredienti per fare bene ci sono tutti, ma sperimentiamo anche l’esperienza del fallimento“.

“Un fallimento – racconta – dovuto soprattutto ad un certo tipo di povertà che affligge tante persone e che è l’incapacità di fidarsi dell’altro. Sì, perché un progetto possa funzionare ci deve essere fiducia tra chi lo propone e chi lo accoglie. Non basta creare un percorso perfetto, accattivante, equilibrato se poi il diretto interessato non lo abbraccia con libertà e convinzione”.

“Dietro a questi atteggiamenti spesso c’è l’incapacità di essere onesti con se stessi, di riconoscere i propri limiti e di chiedere davvero aiuto. Le ferite del passato poi portano molti anche a rinchiudersi in un guscio protettivo e la logica di vita diventa quella dell’egoismo per la sopravvivenza”.

“Il fallimento – sottolinea fra Emanuele – è un’esperienza quindi inevitabile in un centro come questo. Sarebbe una pia illusione credere di poter avere successo al 100%, così come è una falsità credere che nella vita non ci siano problemi o non si debba mai cadere”.

“Il fallimento di conseguenza non può impedirci di fare il bene possibile, sarebbe questa una sconfitta dello Spirito evangelico di amore per l’uomo ad immagine e somiglianza di Dio e una vittoria dello spirito del male. Al contrario – prosegue – l’opportunità che ci si apre è quella del donare senza avere nulla in cambio, di aiutare chi non ci vuole bene o vuole solo approfittarsene, di vedere il bello dell’umanità anche in chi forse di umano ha ancora poco”.

La storia di Yurek

“Vi voglio consegnare una storia, quella di Yurek. Polacco, sulla cinquantina, viveva come barbone in giro per Assisi, più volte si era cercato di aiutarlo senza risultati concreti, voleva restare sulla strada e aveva solo l’apparenza di essere umano. Solo il vescovo di Assisi con la sua caparbietà è riuscito ad accoglierlo prima a casa sua e poi qui nel nostro centro”.

“Un’accoglienza temporanea da quello che ci era stato detto dai dottori, vista la sua grave e compromessa situazione di salute, doveva, in poche parole, poter lasciare questo mondo dignitosamente, con un tetto sulla testa”.

“In lui il fallimento della vita urlava a gran voce: ‘ho vinto’ ed invece ecco accadere l’impossibile. L’ambiente accogliente, le cure fatte con solerzia, la pazienza avuta nei suoi confronti, hanno portato la sua salute a migliorare e anche la sua mentalità si è piano piano modificata lasciando spazio all’umanità nascosta in lui, coperta da troppi anni di durezze, alcol e fumo”.

L’azione dello Spirito Santo

“Ora – racconta fra Emanuele con gioia – certo tra alti e bassi, continua a vivere con noi e ci aiuta anche nella pulizia del nostro giardino e dell’esterno della casa. Sì, ha quasi una mania per l’ordine e non passa giorno che non spazzi perfettamente tutti gli spazi esterni ripulendoli da foglie e aghi di pino che abbondantemente cadono al suolo”.

“A volte – conclude fra Gelmi – il vero e unico progetto è quello di rischiare e di prendersi cura gli uni degli altri andando un po’ oltre la nostra mentalità efficientistica, fare le cose con passione e competenza certo, ma lasciando lo spazio all’azione dello Spirito Santo che è capace dell’impensabile!”.

 

Milena Castigli: