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Piove sullo Yemen: il fango ferisce Sana’a

Le piogge devastano la capitale Sana'a e le sue storiche case. L'ennesima ferita per un Paese già in ginocchio

Non ci sono calate né vecchi moli. Forse quei personaggi che cantava De André sì, perché in fondo quelli sono ovunque. Ma la “Città vecchia” di Sana’a, capitale dello Yemen, non è un reticolato di vie che scendono verso il mare, né la sua aria è satura di odori che riecheggiano luoghi lontani. Sana’a si eleva su altopiani spazzati dai venti delle montagne, mostrandosi nelle sue peculiarità che affondano le proprie radici nella notte dei tempi. Tre quartieri per una città, col suo cuore antico, creato con l’unico incrocio possibile fra la pioggia e la sabbia del deserto. Case di fango, uniche al mondo, resistenti ai secoli, alla guerra ma, stavolta, non alla furia degli elementi. Settimane di precipitazioni torrenziali, parte di quel cuore lo hanno spazzato via. Il tempo, giustiziere laddove nemmeno l’ira degli uomini era riuscita a emettere la sua sentenza.

Yemen a rischio fame

L’ennesima prova per lo Yemen. Palcoscenico impotente di una sanguinosa guerra civile, terra inconsapevole di un gioco geostrategico che chiama in causa più attori esterni che le fazioni in lotta. Una tempesta perfetta che, finora, ha provocato la più grave emergenza umanitaria dell’ultimo decennio, una delle peggiori del nostro secolo. Un contesto dove la tragedia è la carestia, con 10 milioni di persone a rischio fame. Ma anche l’ondata di epidemie che hanno investito il Paese: il Covid-19, certo, con quasi 500 decessi (numeri che ballano fra l’ufficialità e l’ufficiosità) e un sistema sanitario sull’orlo del collasso, impossibilitato a far fronte a un’emergenza di tale portata. Niente mascherine, o pochissime, così come difficoltà estreme a reperire altri materiali sanitari.

Sanità e aiuti umanitari

In un momento storico in cui, peraltro, il coronavirus ha fatto capolino in una realtà sociale già martoriata dal colera: “Il coronavirus – aveva spiegato a Interris.it Lorenzo Marinone, analista del CeSi – è una gravissima crisi sanitaria, ma lo Yemen è alle prese da anni con un’epidemia di colera che ha fatto sfaceli e che non si riesce ad arrestare, unita a carestia e malnutrizione gravissime”. Un quadro drammatico, in cui ” il flusso degli aiuti umanitari tende a rallentare perché ci sono pochi punti di accesso nel Paese”. E nel quale i suddetti aiuti vengono gestiti dalle forze in campo nella guerra civile, trasformandoli in strumenti di legittimità rispetto alle esigenze della popolazione. Un ulteriore elemento di destabilizzazione, laddove gli ultimi cinque anni hanno capitalizzato una crisi socio-economica in grado di piegare la resistenza della popolazione civile ben prima della pandemia.

La stagione delle piogge

Un quadro di sofferenza e difficoltà, nel quale le piogge hanno portato il loro contributo colpendo al cuore la memoria storica dello Yemen. Un’ondata meteo eccezionale, che ha prodotto settimane di piogge intense, fino a provocare le inondazioni che hanno raso al suolo parte di quella Città vecchia, patrimonio dell’umanità. Il colpo peggiore, inaspettato, che lenisce il senso d’appartenenza comune che le violenze del conflitto in atto non erano ancora riuscite a intaccare.

La furia dello scontro civile logora il Paese dall’interno, in una sorta di scenario libico ma senza la presenza strategica di altri che non siano potenze mediorientali. L’appello all’intervento della Comunità internazionale è il mantra che accompagna chiunque cerchi di scrutare al di là della cortina di indifferenza che cela il dramma dello Yemen. Dove le bordate fra ribelli e lealisti innescano dinamiche ben più grandi del semplice avanzamento (o arretramento) della propria posizione. Una spaccatura nella quale il fango, per secoli strumento di meraviglie architettoniche, ha finito per inserirsi, sospinto dalle piogge.

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