Gli orfani di femminicidio sono vittime invisibili di un atto violento che li priva dell’amore genitoriale. Per questo hanno bisogno di elaborare il lutto e hanno necessità di comprendere chi è il loro padre e di come ricostruire la loro vita. La relazione della commissione femminicidio, approvata in parlamento nel novembre 2020, indica che ogni 72 ore una donna viene uccisa e nell’arco di due anni sono 169 i bambini rimasti orfani a causa di femminicidio.
Interris.it ha intervistato Patrizia Schiarizza, presidente di Il Giardino Segreto, associazione nata con l’obiettivo iniziale di prestare assistenza legale e psicologica gratuita ai figli delle vittime di femminicidio e a coloro che si occupano di questi bambini.
L’intervista
Patrizia che cosa accade ai bambini quando una madre viene uccisa dal loro padre?
“Quasi sempre vengono affidati alle famiglie materne che senza aver avuto il tempo di elaborare il lutto e piangere le proprie figlie si ritrovano a dover fare i genitori a dei bambini a cui avrebbero voluto solo fare i nonni. Il primo problema che queste famiglie affidatarie devono affrontare è quello di trovare le parole e i modi giusti per raccontare che cosa è accaduto. Molto spesso però ci sono famiglie che non hanno il coraggio di spiegare al bambino come è morta la madre”.
Cosa provoca nei bambini questo silenzio?
“Purtroppo ha conseguenze devastanti perché il bambino quando cresce va sempre alla ricerca della verità e quando scopre che cosa è realmente successo può sentirsi tradito anche dai nonni. Noi come associazione abbiamo assistito moltissimi bambini a cui era stata fatta una narrazione completamente diversa, ma quando hanno scoperto come erano andate le cose è stato come rivivere il trauma”.
Che cosa resta del rapporto bambino-padre?
“Quella del padre è una figura che da un giorno all’altro viene a mancare perché in alcuni casi si suicida e nei restanti casi va in carcere. Molto spesso mo problema che queste famiglie affidatarie devono affrontare è quello di trovare le parole e i modi giusti per raccontare che cosa è accaduto. Molto spesso però ci sono famiglie che non hanno il coraggio di spiegare al bambino come è morta la madre”.i contatti sono interrotti perché decade il diritto di podestà e l’unico rapporto che resta è quello con la famiglia paterna. Per la legge italiana questi figli non hanno il diritto di sapere in quale carcere si trova il proprio padre e a che punto della pena sia. Nonostante ciò , sappiamo di molti figli cresciuti che ricevono lettere da parte del genitore e questo non dovrebbe accadere. Lo Stato italiano dovrebbe monitorare che i detenuti stiano facendo un percorso riabilitativo per non rischiare a fine pena che abbiano con i figli lo stesso rapporto violento che hanno avuto con la madre”
Quali sono i traumi che portano dentro questi bambini?
“La morte della madre è spesso l’epilogo di un dolore che affonda le sue radici nella primissima infanzia, fatta di maltrattamenti, diretti e, o indiretti che terminano solo con l’uccisione della loro madre. Tutto ciò porta a un trama che può avere varie esplicitazioni, alcuni fanno la pipì a letto, altri hanno problemi di alimentazione, altri sono affetti da mutismo o hanno paura del buio. Per questo è fondamentale che si mettano subito in atto degli interventi di sostegno per aiutare a lenire delle ferite che lasceranno delle cicatrici indelebili”.
Come si interviene su questi bambini?
“Sicuramente uno degli obiettivi principali è il recupero di questi bambini e il supporto anche psicologico dei familiari. L’Italia è una dei pochi Paesi in Europa che ha una legge dedicata agli orfani di femminicidio, ma si tratta di un provvedimento recente che presenta ancora delle criticità. Innanzitutto questi bambini necessitano di un intervento psicologico con delle competenze diversificate e i familiari ci dicono che purtroppo nel pubblico non trovano molto riscontro, motivo per il quale devono ricorrere a prestazioni private e sobbarcarsi delle spese a volte molto alte. Ogni bambino ha la propria storia, ma è necessario creare delle linee guide omogenee di presa in carico, valide per tutto il territorio nazionale e che considerino i punti di vista di tutte quelle figure professionali che possono essere in grado di aiutare il bambino”.