L’Italia, con 689 mila ettari per estensione di vitigni, insieme alla Francia e alla Spagna, rappresenta i tre quarti della superficie vitivinicola nell’Unione Europea ma, i cambiamenti climatici degli ultimi anni, stanno provocando molti cambiamenti a questo settore il quale, indubbiamente, rappresenta uno dei pilastri portanti del cosiddetto “Made in Italy”. Interris.it, in merito allo stato attuale del settore vitivinicolo italiano, anche in considerazione del recente inizio del periodo di vendemmia, ha intervistato il dott. Nicola Tavoletta, presidente nazionale di Acli Terra.
L’intervista
Presidente, qual è lo stato di salute attuale del settore vitivinicolo italiano?
“Faccio una premessa di carattere storico: la viticoltura, da noi, ha origini molto antiche. Basti pensare che, il nome originario della nostra Penisola era Enotria, ossia ‘Terra del Vino’, un termine derivato a sua volta da Enotri, gli abitanti della attuale Basilicata. Attualmente, sono censiti oltre 540 vitigni e ciò fa di noi la prima nazione per produzione enologica nonché la terza per la coltivazione di uva. La nostra media nazionale si attesta mediamente attorno ai 50 milioni di ettolitri, divisi tra vini rossi e bianchi, tra cui meritano una menzione speciale le oltre 400 tipologie a Denominazione di Origine Protetta. Quest’anno però, a causa di quella che si definisce ‘siccità idro meteorologica’, ovvero una riduzione di precipitazioni che, accompagnata da alte temperature, sta determinando delle condizioni più difficili le quali vanno ad inficiare sulla produttività dei vigneti”.
Quali sono le aree del nostro Paese maggiormente colpite da questo fenomeno?
“Questa tipologia di siccità, in Europa, sta lambendo i tre principali Paesi produttori di vino, ovvero l’Italia, la Spagna e la Francia. Nella nostra penisola, al Sud e nella fattispecie in Sicilia, a causa della siccità e delle alte temperature, il settore vitivinicolo sta pagando le conseguenze peggiori, diminuendo fortemente le quantità di vino prodotte. Inoltre, in tutta Italia, c’è stato un forte incremento della temperatura media nelle vigne che, unita alla carenza d’acqua, sta aggravando ancora di più il quadro generale. Ormai è chiaro che il cambio climatico stia procedendo in modo ineluttabile ed occorre introdurre le misure necessarie per contrastarlo”.
Cosa ci dicono i primi dati relativi alla vendemmia 2024?
“La vendemmia di quest’anno è stata la più precoce della storia recente. È stata anticipata di quasi due settimane a causa dei cambiamenti climatici con il caldo e la mancanza di pioggia che hanno accelerato la maturazione delle uve nel Sud e invece, al nord, a causa delle piogge di qualche tempo fa, il raccolto è diminuito. Le uve sono di buona qualità ma, i nostri eroici viticoltori, sentono gli effetti del clima che muta. C’è però una buona notizia: a causa del calo della produzione francese, l’Italia potrebbe riprendersi il primato perso nel 2023, occorre però agire in sinergia”.
Quali sono le possibili strategie da mettere in campo per tutelare il settore e preservarlo dagli effetti più gravi dei cambiamenti climatici?
“Le possibili strategie di contenimento e contrasto che si possono introdurre per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici in ambito agricolo e, nello specifico, vitivinicolo, sono molteplici e, noi di Acli Terra, siamo pronti a fare la nostra parte. Dobbiamo supportare i viticoltori in questo processo di adattamento: è possibile sperimentare varietà diverse di uva ed optare per quelle maggiormente resistenti al caldo oppure, come sta già accadendo in alcuni Paesi del mondo, dotarsi di ‘cover crop’, ovvero colture di copertura che crescono sotto le viti ed aiutano ad abbassarne le temperature. Occorre però affrontare in modo unitario questo momento e propendere ogni energia necessaria al fine di tutelare questo settore fondamentale”.