“Ancora una volta, ci troviamo ad affrontare un’emergenza sanitaria che, con le sue restrizioni, impatta sulla vita di ogni giorno e influisce sulla nostra emotività. Ovviamente, il modo in cui influisce è diverso a seconda dell’età e non è solo una questione anagrafica: sono diverse le esigenze specifiche, le competenze emotive, sono diverse le risorse cognitive che abitualmente si utilizzano per processare gli eventi”. Inizia così l’analisi della dottoressa Vanlentina Tollardo, psicologo e psicoterapeuta infantile e dell’età adolescenziale. Interris.it con la dottoressa Valentina Tollardo ha parlato di bambini, pre adolescenti ed adolescenti in relazione a questa seconda ondata. Tra Dad e confinamento sociale, quali saranno i riflessi che si vedranno sui ragazzi nei prossimi anni?
“Nei bambini, insieme a un aumento dei comportamenti regressivi, noi terapeuti, nei nostri studi, stiamo osservando l’insorgere di sintomi legati all’ansia e alla paura. Oggi i bimbi hanno ancora la possibilità di vedere il bello nella scuola e nei loro insegnanti. Purtroppo però hanno anche chiara l’idea (o paura) che da un momento all’altro tutto questo possa finire. Che ogni cosa bella e preziosa debba necessariamente avere anche una data di scadenza, dettata dalla possibilità che da un momento all’altro possa finire in quarantena. In poche parole, nell’emergenza che stiamo vivendo i bambini non hanno ancora la possibilità di crearsi un’aspettativa a lungo termine rispetto alla sicurezza”.
“Nei preadolescenti, invece, aumentano i disturbi d’ansia e il rischio di isolamento sociale. Proviamo a riflettere: ritornare in un ambiente sociale e scolastico che non sentono (più) protettivo diventa, nei più fragili, una vera e propria fatica emotiva di cui tener conto. Ci sono poi ragazzi che hanno davanti la scelta della scuola superiore, già di per sé compito difficile. Tra loro emerge uno scoraggiamento e una fatica di pensare e di “pensarsi” in una dimensione futura; come se le difficoltà fisiologiche legate all’età fossero in qualche modo aumentate dall’idea che la pandemia ha portato in tutti noi: “Del futuro non c’è certezza”.
“Con gli adolescenti il discorso cambia: hanno da tempo dismesso i panni della trasgressione, si sono adeguati alle regole imposte in modo assertivo e sono rientrati nel mondo a giugno un po’ in punta di piedi, con pudore. Attenti nell’osservare l’evoluzione, capaci di presagire. Giacomo a settembre me lo dice chiaramente: “Siamo tornati a scuola ma do tempo un mese e la richiudono!”. In realtà, lo sappiamo, a scuola non ci sono mai tornati del tutto e Giacomo ha fatto un’analisi precisa di cosa sarebbe successo. “Valentina, era prevedibile! Che devo fare: mi adeguo”. Gli adolescenti amano meno la dimensione online rispetto a quanto credono gli adulti e, per questo, il rischio maggiore lo vedo nella diminuzione della motivazione nell’investire su tutti gli ambiti di vita, nelle passioni, nelle relazioni e (anche) nella scuola”.
Dad: i limiti rispetto alla didattica tradizionale
“La DAD è uno strumento utile. In questa seconda ondata c’è senza dubbio una preparazione maggiore di tutti nell’utilizzo dello strumento e nella possibilità di strutturare le lezioni con una maggior continuità. Ma la DAD è uno strumento che in ogni caso ha dei limiti rispetto alla didattica tradizionale: non può sostituire il clima emotivo della classe, non replica la stessa relazione tra compagni, non garantisce lo stesso rapporto con gli insegnanti e richiede maggior concentrazione e attenzione”.
“L’accesso alla DAD è poi univoco solo in apparenza, poiché le variabili in gioco sono molte: il numero di figli rispetto ai dispositivi disponibili in famiglia, la possibilità di una buona rete internet (anche della scuola), la presenza di uno spazio di apprendimento e di un clima emotivo sufficientemente buoni. Il rischio a lungo termine è un aumento delle differenze sulla base della situazione socio-economica della famiglia, delle possibilità di ogni singola scuola, dell’organizzazione più o meno virtuosa della singola regione. Insomma, le variabili in gioco rispetto al diritto allo studio sono innumerevoli”.
Come progettare unìottica di evoluzione
“Il mondo adulto è affaticato, si è trovato ad agire sul momento senza la possibilità di progettare in un’ottica di evoluzione perché impegnato a far fronte a problemi reali e contingenti: nonni da accudire e fragili, lavoro precario, fatiche economiche e di gestione della routine familiare. Mi sembra di scorgere un’altra differenza rispetto al primo lockdown: la trovo nella possibilità (o impossibilità) di esprimere le emozioni e condividerle, come se ci fosse la necessità di tenerle chiuse per poter affrontare un tempo e una prospettiva che è ancora non sono definiti né definibili”.
L’adulto deve essere portavoce di speranza
“Il mondo adulto ha quindi una possibilità: quella di fornire una nuova elaborazione di tutte le vicende che stanno accadendo per dare voce alle emozioni negative, alle perdite (possibili o reali) e alle rinunce. Devono essere portavoce di ciò che non si può dire perché è scomodo, faticoso rinunciando un po’ alla facciata della funzionalità a tutti i costi e renderlo leggibile e chiaro ai più piccoli, già metabolizzato. Questa voce servirà per trovare la strada della prospettiva, della progettualità futura e della speranza: che è un diritto dei ragazzi e dei bambini. La verità è che oggi essere adulto richiede un gran coraggio, quello di uscire allo scoperto e di dare un senso a ciò che (ci) accade”.