Il virus che minaccia le balene e rischia il salto di specie

Logo Interris - Il virus che minaccia le balene e rischia il salto di specie

Logo INTERRIS in sostituzione per l'articolo: Il virus che minaccia le balene e rischia il salto di specie

Non c’è niente di più bello che passare l’estate al mare per godersi l’acqua cristallina e fare il bagno con i nostri amici. Quello che conosciamo noi però non è più il mare pulito e trasparente che avevamo anni fa bensì un mare sempre più sporco e ricco di plastica e immondizia. Un mare che sotto alla sua apparente trasparenza nasconde un vero e proprio problema, l’inquinamento. Questo problema non tocca solo noi, perché potremmo rischiare di non fare più il bagno in un’acqua limpida, ma colpisce soprattutto la flora e la fauna che ci vivono. Per esempio a Greenpeace in Sicilia, non è la prima volta che arriva la notizia di molti cetacei intrappolati nelle reti abbandonate dai pescatori.

Tra inquinamento e nuovi virus

Un quarto dei cetacei spiaggiati lungo le coste italiane negli ultimi anni infatti, è morto per cause imputabili all’uomo: dovuta principalmente all’intrappolamento nelle reti abbandonate o in quelle illegali (come le spanare). Ma sono dovuti anche dalla contaminazione da plastica. Fra le cause naturali invece, preoccupa la diffusione del virus del morbillo dei cetacei. Lo rivela una ricerca commissionata da Greenpeace all’Università di Padova sulle principali cause di spiaggiamento dei cetacei lungo le coste italiane, e diffusa in occasione della giornata mondiale per la conservazione della natura. Nei giorni scorsi le spadare hanno intrappolato ben due capodogli al largo delle Eolie. L’84% di questi grandi cetacei spiaggiati tra il 2008 e il 2019 aveva nel proprio stomaco frammenti di plastica, mentre lo scorso maggio per esempio si era spiaggiata una balena gravida, e dopo aver analizzato la carcassa sono stati trovati all’interno del suo stomaco oltre 22 chili di plastica, 22 chili!

La causa sono i grandi teli usati per l’agricoltura, le buste, i filamenti derivati dalla frammentazione della plastica, che si accumulano nei loro stomaci. Anche se non uccidono i cetacei, li debilitano, alterando la loro funzionalità intestinale, facendoli faticare per nutrirsi e favorendo l’emergere di altre problematiche. Preoccupa i veterinari anche un virus, quello del morbillo dei cetacei, che dopo gravi epidemie di stenelle tra il 1990 e il 2008 sembra adesso riemergere tra diverse specie di cetacei, soprattutto associato ad altri stress ambientali. Cinque dei sei capodogli spiaggiati nell’estate 2019 sono risultati positivi al virus. Quest’ultimo inoltre sta facendo il “salto di specie” (proprio come il Sars-CoV-2), arrivando a lontre di fiume e foche.

Limitare l’impatto con l’uomo

A questo proposito, per tutelare questi animali servono aree protette dove limitare l’impatto dell’uomo. In Italia dal 1999 è stato istituito il Santuario dei Cetacei, ma ad oggi nulla è stato fatto per tutelare davvero l’area. Greenpeace e Istituto Tethys hanno inviato proprio una lettera al ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova per chiedere maggiori controlli e sanzioni per fermare l’uso delle spadare, i così detti “muri della morte”, che continuano a essere utilizzate nonostante siano state messe al bando dal 2002 perché responsabili della morte accidentale di migliaia di animali marini. Ma questi sono i grandi passi, è lo sforzo di importanti associazioni che dedicano tutta la loro attività alla tutela dell’ambiente. Noi invece che cosa possiamo fare? Quando saremo stanchi di aspettare che qualcuno faccia qualcosa al posto nostro? Io comincio dalle mascherine, dalle bottiglie di plastica, dai rifiuti di casa mia. Anche quella immondizia potrebbe un giorno nuocere a queste balene, a tutti noi.

Francesca Romana Preziosi: