La pandemia ha messo in luce aspetti ancora più tristi dello stesso distanziamento fisico o sociale che sia. Violenza nelle sue più svariate forme, violenza verbale sui social, ma soprattutto violenza fisica nelle mura di casa, in particolare nei confronti delle donne. Interris.it ne ha parlato con la dottoressa Marina Zanotta, psicologa e psicoterapeuta proprio oggi, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, infatti, ha designato il 25 novembre come data della ricorrenza e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare in questo giorno tutte le attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne.
Cosa succede nella mente di un uomo quando si diventa violenti? Perché ci si trasforma all’improvviso?
“Per quanto sia più facile pensare che si tratti di risposte improvvise e non prevedibili, purtroppo la letteratura e la casistica legata al fenomeno delle violenze domestiche dimostrano che sono situazioni che si trascinano per lungo tempo in un’escalation progressiva di privazioni, restrizioni e umiliazioni, fino ad arrivare all’espressione fisica della violenza. Nella quasi totalità dei casi coloro che diventano violenti hanno la propensione a considerare il/la partner, o la vittima in genere, al pari di un oggetto di loro proprietà di cui si possa disporre liberamente senza il riconoscimento del fatto che si tratti di una persona che gode di diritti. Questo è spesso frutto di pregiudizi, stereotipi di genere e paradossi culturali o dell’essere cresciuti in ambienti, a loro volta, maltrattanti”.
Come si può perdere la lucidità a tal punto da poter uccidere anche la propria compagna, i figli e poi sé stesso, come è successo di recente?
“In situazioni come queste la perdita di lucidità avviene in pochissime casistiche. Nella maggior parte delle vicende di cronaca si tratta di situazioni premeditate in cui l’intento prevalente è punire l’altro togliendogli sia l’oggetto principale d’amore e la prospettiva di un futuro generazionale (uccisione dei figli) sia la vita stessa. Azioni troppo spesso inserite in contesti di non accettazione della libertà e dell’individualità dell’altro che ha diritto di uscire da una situazione maltrattante e di chiedere la separazione dal coniuge pericoloso. Togliersi la vita alla fine di un omicidio è la chiusura del progetto di possesso, intesa nel modo più crudo: insieme per sempre nella vita e nella morte”.
Quanto la debolezza di questo momento storico incide su questi casi di violenza domiciliare? Si tratta per lo più di casi di violenza pregressa o persone che hanno manifestato forme di aggressione per la prima volta?
“Per quanto riguarda i dati che abbiamo potuto osservare, nel periodo del lockdown della scorsa primavera e, in generale, delle chiusure di questo periodo, i dati sulle violenze domestiche sono aumentati di oltre il 70% dei casi. Questo perché l’essere obbligati a rimanere in casa ha costretto le potenziali vittime ad una permanenza prolungata a contatto con coloro che già perpetravano violenza o che avevano già avviato un circolo maltrattante all’interno dell’ambiente domestico. Si tratta, quindi, di situazioni già disfunzionali in cui la violenza fisica o era già presente o si è manifestata, come fenomeno, per la prima volta”.
Come riconoscere atteggiamenti violenti? Come capire quando ci si trova di fronte una persona che sta per avere uno scatto di ira?
“Come già accennato prima, gli atteggiamenti violenti sono un crescendo continuo che non esplode mai all’improvviso per colpa di un banale “scatto d’ira”. Bisogna prestare attenzione a tutti i tipi di violenza e maltrattamento:
1) Violenza psicologica: la denigrazione dell’altro nella sua persona (perché donna, bambino o appartenente alla realtà LGBTQ+), la denigrazione dei legami di amicizia o familiari, insulti, aggressività verbale, svalorizzazione costante della persona e dei risultati personali/lavorativi/scolastici, minacce, pedinamenti.
2) Manipolazione: richiesta di allontanamento da amici e parenti, restrizioni obbligatorie sul come vestirsi, quali posti frequentare, a quali persone rivolgere la parola, pressione per abbandonare il proprio lavoro o per cedere all’altro il proprio stipendio, creazione di una dipendenza pratica ed emotiva nella vita quotidiana.
3) Violenza fisica: percosse, spintoni, sputi, aggressioni, rapporti sessuali non consenzienti anche in caso di matrimonio, segregazioni, punizioni, torture fisiche di qualsiasi genere, subire la distruzione di oggetti personali.
Se ci si riconosce anche in una sola di queste situazioni ci si deve già considerare in pericolo e ci si deve difendere andandosene il prima possibile e chiedendo aiuto medico, psicologico e legale”.
Se quella persona fossimo noi, come gestire questa “emozione”?
“Riconoscere che arrabbiarsi per qualcosa è sempre lecito, ma interferire con la libertà personale dell’altro e violarne lo spazio fisico o emotivo è sbagliato. Bisogna imparare a fermarsi e a gestire bene le proprie emozioni e, se non ce ne si riconosce capaci, chiedere un sostegno psicologico per lavorare sulle motivazioni e sulla costruzione di strategie legalmente e socialmente adeguate”.
Come aiutare, ma soprattutto come aiutarsi?
“Nel caso ci si riconosca vittima di violenza domestica di qualsiasi genere, non bisogna restare soli, ma attivarsi il prima possibile per contattare il numero 1522. In questo modo si viena messi in contatto con uno o più centri anti violenza (aperti sia a donne che uomini) per ottenere assistenza sanitaria, psicologica e legale il prima possibile. A livello preventivo, sarebbe sicuramente necessario iniziare a inserire nelle scuole, già a partire dalle elementari. Questi sono percorsi validi di educazione all’affettività e alla sessualità e percorsi legati alla prevenzione della violenza di genere”.