Violenza contro le donne e femminicidi, prof. Musacchio: “Per risolvere il problema c’è ancora tanto da fare”

Si chiamava Marita Ivana Pennacchio, aveva 75 anni, ed è stata freddata mentre dormiva nel suo letto. A premere il grilletto della pistola che ha fatto fuoco è stato suo marito, 78 anni. Si è tolto la vita dopo aver ucciso la moglie e chiamato il 112. Marita è l’ultima, in ordine di tempo, vittima di una follia omicida che ha come bersaglio le donne.

I dati

Secondo i forniti dal sito femminicidioitalia.info sono 54 le vittime di femminicidio in Italia anche se, secondo i dati del Viminale, sono state 96 le donne uccise dal 1 gennaio al 22 ottobre 2021 nel nostro Paese.

L’intervista

Ma perché la violenza contro le donne è così estesa? Cosa la scatena? E’ possibile riconoscere e quindi prevenire questo tipo di crimine prima che si verifica una tragedia? Interris.it ha intervistato il professor Vincenzo Musacchio, criminologo, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.

Nell’ultimo periodo abbiamo assistito a numerosi episodi di femminicidio. Come mai questa recrudescenza? 

“È un fenomeno che si riscontra in forte aumento dall’inizio della pandemia da Covid-19 soprattutto con il lockdown. Nei primi mesi del 2020, l’Istat conferma l’aumento dei casi di violenza contro le donne tra le mura domestiche a causa proprio del maggior rischio di aggressività dovuto al confinamento forzato e alle difficoltà per le vittime conviventi con il maltrattante a denunciare e rivolgersi ai servizi sociali. Il lockdown tuttavia ha soltanto aumentato le difficoltà a sottrarsi alla violenza perché anche prima della pandemia i fatti non andavano di certo meglio. Ci sono alcuni fattori di rischio da considerare. A generare la violenza spesso contribuisce il basso livello d’istruzione; l’avere subito violenza da bambini; l’essere stati presenti a scene di violenza familiare; l’abuso di alcool e droghe; la violenza come un fattore culturale e religioso; la disparità di genere. Il come mai si spiega essenzialmente con questi fattori che, di fatto, aumentano le probabilità che una donna possa subire violenza, sessuale e non”.

Che cosa scatena la furia omicida di un uomo nei confronti della sua partner?

“Credo che, in primis, dietro tali comportamenti ci siano dei forti disturbi di personalità. Da criminologo ritengo non sia raro che gli autori di tali delitti siano soggetti con psicopatologie rilevanti. Un altro aspetto da non trascurare è la rigidità nelle relazioni interpersonali con la conseguente individuazione di un nemico. Il reo spesso agisce per vendetta, perché pensa di aver subito un torto (una delusione amorosa o un licenziamento), per il desiderio di avere una relazione, per erotomania, odio o per l’impulso di controllare la vittima o di indurla a modificare il proprio comportamento. Viviamo in una società dove vogliamo avere tutto e subito e quindi la minima negazione scatena reazioni spesso incontrollabili”.

 È possibile riconoscere e quindi prevenire questo tipo di comportamenti? 

“Sicuramente possiamo aiutare le donne vittime di violenza. Conoscere le cause del fenomeno è il primo passo per prevenire simili comportamenti criminosi. Ma non basta. Bisogna mettere in atto campagne di sensibilizzazione, dialogare con le istituzioni. Credo che la prevenzione sia una via da seguire ed è una delle poche speranze per evitare quegli esiti spesso tragici soprattutto in famiglia. A una vittima di simili reati consiglio sempre di denunciare per far sì che sia dia avvio alle indagini contro l’autore del crimine. Il problema, però, è dal momento in cui si presenta la denuncia a quello in cui effettivamente comincia il processo penale passa troppo tempo e purtroppo durante tutto questo tempo, l’agente può continuare a perpetrare le sue condotte criminose con estrema facilità. L’utilizzo del doppio braccialetto GPS alla vittima e al carnefice è uno degli strumenti che ritengo molto efficace per prevenire questa tipologia di delitti. Da fare tuttavia c’è ancora tanto”.

Che tipo di pena prevede la legge per chi si macchia di questo tipo di crimine? 

“La legge sul femminicidio ha apportato diverse modifiche al codice penale. Ha previsto un’apposita aggravante per questo reato nel caso in cui la vittima sia una donna in stato di gravidanza, oppure sia persona della quale il colpevole sia il coniuge (anche separato o divorziato), ovvero chi alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza. C’è anche un’aggravante comune (cioè, applicabile a più reati) per tutti i delitti contro la vita, l’incolumità individuale e la libertà personale quando il fatto è commesso in danno di persona in stato di gravidanza. Se si commette stalking, oppure una violenza di qualsiasi tipo (percosse, lesioni, abusi, maltrattamenti, ecc.) contro una donna incinta oppure contro una donna con la quale ha avuto una relazione sentimentale, si vedrà aumentata la pena base. La legge sul femminicidio è intervenuta anche sul delitto di violenza sessuale: anche in questa circostanza, chi commette un qualsiasi abuso su donna in stato di gravidanza subirà un aumento di pena. Lo stesso accade se la violenza sessuale sia commessa nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza. Poi c’è la cd. legge sul codice rosso che ha introdotto l’obbligo della polizia giudiziaria di comunicare immediatamente al magistrato del pubblico ministero le notizie di reato acquisite, qualora queste riguardino delitti di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate commessi in ambienti familiari o di semplice convivenza, senza lasciare discrezionalità sulla sussistenza dell’urgenza”.

Come tutelare le donne?

“La prima cosa, che al contempo è anche un consiglio, è, come ho detto prima, di denunciare immediatamente. Poi di non incolparsi e di non vergognarsi perché chi deve provare vergogna, non è certo la vittima ma il carnefice. Molto importante è avere supporto morale e psicologico. Avere il sostegno dei familiari e quello di esperti è un percorso assolutamente da raccomandare. Un’altra azione molto importante è quella di cercare di documentare le condotte violente. Bisogna ripartire dalle famiglie, dalla scuola e dalla società civile. Anche i consultori per l’aiuto alle vittime di tali reati possono per esempio offrire un buon supporto ma vanno rafforzati con personale adeguatamente formato. Purtroppo sempre più femminicidi sono preannunciati dalle condotte di stalking e poi realizzati con troppa facilità nell’inerzia e nel disinteresse generale”.

Governo e forze dell’ordine potrebbero fare di più per prevenire i femminicidi? 

“Il Governo dovrebbe puntare su un’adeguata formazione che consenta ai magistrati e alla polizia giudiziaria di captare nell’immediato quali siano i concreti rischi caso per caso. Le Procure della Repubblica dovrebbero essere dotate di linee guida precise e le forze dell’ordine fornite di un’adeguata formazione. L’obbligo di formazione per le forze dell’ordine (polizia di Stato, carabinieri e polizia penitenziaria), dovrebbe avvenire attraverso la frequenza di corsi specifici, in modo tale da essere ancor più preparati nel caso in cui abbiano a che fare con tale tipologia di reati. Per fare tutto questo naturalmente occorrono i finanziamenti e il Governo appunto dovrebbe garantirli”.

Manuela Petrini: