Una leggenda ecumenica, che unisce perché gode della forza della narrazione. Di quegli aspetti e di quelle fragilità che accomunano gli esseri umani, prima ancora che i credenti. La figura di Artaban riemerge nel romanzo Per un’altra strada. La leggenda del Quarto Magio (Ed. Paoline), scritto dal vaticanista Mimmo Muolo. E, per molti di noi, è una figura nuova. Che rompe i canoni forse, discostandosi dal racconto evangelico che narra di tre sapienti d’Oriente, incamminati alla volta della Luce del Mondo, guidati da una stella. Ma il “quarto” Magio è forse la figura più vicina a noi. Lui, che si attarda in una disputa, che pecca di superbia, che prova a rimediare al suo ritardo iniziando un viaggio privo della luce stellare. Un percorso che lo porterà a seguire una strada concreta ma anche e soprattutto interiore.
Il doppio viaggio del Quarto Magio
Mimmo Muolo, una leggenda poco conosciuta quella del “Quarto Magio”. E’ affascinante però il concetto del ritardo, che gli impedisce di arrivare a Betlemme ma non gli preclude l’incontro…
“Nella leggenda più diffusa, quella messa per iscritto alla fine dell’800 da Henry Van Dyke, presbiterano americano di origine olandese, Artaban parte in ritardo perché ha un contrasto con gli altri Magi sulla necessità o meno di partire per andare a Gerusalemme. Questa disputa, in cui lui si attarda, gli costerà l’arrivare in ritardo rispetto agli altri tre. Io ho preso questo elemento della leggenda e l’ho un po’ elaborato: ho fatto diventare Artaban il più ‘intellettuale’ dei Magi. Il quale, però, quasi per una tentazione, credendosi tale, viene portato a deviare dalla strada maestra. Per cui, la devianza poi lo porto sulla strada del vizio, quindi a un passo dal non ritorno. Graziato da un’irruzione della Grazia, rinsavisce e ritorna sulla retta via. Nel frattempo però il ritardo si è accumulato”.
C’è un aspetto molto attuale in questo. Artaban è una figura che potremmo dire contemporanea?
“Ho visto soprattutto l’attardarsi dell’uomo contemporaneo nei pensieri del proprio cuore. Nel Magnificat si dice ‘ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore’. Artaban commette questo peccato di superbia, quindi si disperde. Può essere una metafora per ciascuno di noi, che siamo esposti a questa tentazione di diventare superbi, di credere di saper tutto quando siamo solo delle creature imperfette che hanno bisogno della Grazia di Dio”.
Artaban compie un viaggio nel verso senso del termine. Ma la sensazione è che le sue peripezie rappresentino più un percorso introspettivo, di risposta ad alcune domande insolute…
“Sicuramente. Anzi, direi che il viaggio è sia esteriore che interiore. Artaban viaggia veramente, percorre una strada in deserti e città. Va a Cesarea, a Betlemme, in Egitto… tutto questo lo porta a percorrere una strada fisica ma, accanto, una interiore. C’è un flusso di coscienza del personaggio, che si racconta e racconta i suoi dubbi esistenziali e di fede. E che procede parallelamente a quello geografico. E’ un romanzo che si può leggere sia su un piano storico ma anche metaforico, perché questo personaggio, anche per il viaggio, cela un significato che va oltre il dato fisico. E questa ricerca di Dio è anche quella del senso della vita. Domande che valevano duemila anni fa e valgono di più oggi”.
Ad Artaban è affidato il dono probabilmente più prezioso, visto che a Betlemme avrebbe dovuto portare delle gemme. Ed è l’unico dono che non arriva. Può significare che ciò che si ritiene più prezioso rappresenta a volte il bene più effimero?
“Direi piuttosto che le pietre preziose vadano interpretate come talenti elargiti, visto che gli vengono affidate. Siamo chiamati a mettere in gioco i nostri talenti, e Gesù li riceve attraverso quello che noi offriamo agli altri. Alla fine di questa leggenda, risalta la pagina evangelica del Giudizio universale. Le pietre preziose le ho interpretate come quello che noi abbiamo ricevuto da Dio e che chiede di essere messo a disposizione. Per noi c’è un messaggio attualissimo anche in questa fase di Covid.
Il Papa, non a caso, ha aperto l’anno dicendo che sarà buono se ci prenderemo cura degli altri. Artaban lo fa e non perché è un supereroe. Deve vincere la sua ritrosia a farlo, compie degli sforzi. Lo fa perché sente la compassione per gli altri, il sentire assieme agli altri. Questo gli viene di volta in volta ispirato e lo compie poiché sente compassione. Anche da questo punto di vista Artaban ha il volto di ognuno di noi”.