Vaiolo delle scimmie-Monkeypox: rischio epidemico per l’Europa?

credito: SAVERIO DE GIGLIO

Da alcuni decenni, nello scorcio di questo secolo, assistiamo al periodico emergere in Europa di nuove manifestazioni infettive che erano ignote o comunque confinate a paesi “esotici” tropicali. La domanda da porsi è: quale il rischio che queste “nuove malattie” si installino in maniera persistente, cioè diventino endemiche? Altra domanda da porsi è: quale fra queste malattie ha le potenzialità per sostenere una nuova pandemia globale, del tipo Covid-19? Per tentare una risposta a questi quesiti è essenziale valutare le caratteristiche di trasmissione e gravità di ognuna e calare queste caratteristiche (contagiosità e letalità) negli specifici contesti ambientali e comportamentali delle popolazioni europee.

Ci riferiamo in particolare ad una serie di malattie infettive sostenute da virus: ebola, chikungunya, zika, west nile fever etc. e, ultima in ordine di tempo, vaiolo delle scimmie o monkeypox, quest’ultima dichiarata quest’anno dall’OMS “emergenza di salute pubblica internazionale”.

Molte di queste sono trasmesse da vettori, in particolare zanzare, altre hanno il loro serbatoio naturale in animali e possono accidentalmente infettare l’uomo operando un “salto di specie”.

I fattori determinanti di questa delocalizzazione (dai tropici ai climi temperati europei) sono molteplici ma consistono fondamentalmente in due fenomeni: da un lato il cambiamento climatico (riscaldamento del pianeta) e dall’altro la mobilità internazionale, enormemente aumentata sia per le migrazioni in direzione Sud-Nord sia per i viaggi internazionali in particolare turistici, in direzione Nord-Sud. A questi fattori si aggiunge una maggiore “disinvoltura comportamentale”, divenuta praticamente incontrollabile a causa dell’enorme volume assunto dalla mobilità delle popolazioni migranti, turistiche e residenti.

Applichiamo ora questi concetti al vaiolo delle scimmie. Si tratta di una malattia infettiva zoonotica causata dal virus monkeypox (MPXV) identificato per la prima volta nell’uomo nel 1970 in coincidenza col declino della diffusione del vaiolo. Il MPXV è un virus a DNA appartenente allo stesso genere del virus causa del vaiolo. Esistono due ceppi (cladi) geneticamente distinti dell’MPXV: clade I, dell’Africa centrale e clade II dell’Africa occidentale, ciascuno suddiviso in due sottotipi a e b. Diverse specie animali sono state identificate come suscettibili a MPXV, in particolare ratti e scoiattoli, oltre ai primati in cui il virus venne identificato la prima volta nel 1958 e da cui deriva la denominazione di vaiolo delle scimmie. Tuttavia oggi è noto che più importanti dei primati, nel sostenere la circolazione in natura del virus, siano appunto i roditori che rappresentano i serbatoi naturali comportandosi come “portatori sani”.

L’uomo viene infettato occasionalmente tramite il contatto con animali infetti (per cui trattasi di zoonosi); inoltre l’infezione riconosce una trasmissione secondaria da uomo a uomo. Nei paesi non endemici i casi sono prevalentemente di importazione mentre la trasmissione interumana è comunque limitata.

In effetti la contagiosità di Mpox è tutto sommata modesta: si tratta di una infezione che si trasmette per contatto diretto ravvicinato, intimo, in particolare sessuale omo – (MSM) e etero – (sex workers). La contagiosità per la popolazione generale non a rischio è marginale, a differenza delle infezioni trasmesse per via aerea (infatti pochi facciamo sesso promiscuo ma tutti respiriamo!), la durata della malattia è breve (si risolve in 2-4 settimane), la gravità è modesta salvo che nei bambini, nelle donne gravide e nei soggetti immunocompromessi. La letalità è parimenti modesta, stimata inferiore all’1% nei paesi occidentali.

Inoltre si tratta di infezione prevenibile: è disponibile infatti un vaccino efficace a virus modificato non replicante (MVA-BN ovvero Modified Vaccine Ankara-Bavarian Nordic, commercialmente denominato JYNNEOS) da usare nei soggetti a rischio. La disponibilità di questo vaccino (fonte della ricerca di un vaccino del vaiolo, malattia che per quanto eradicata resta un possibile agente di bioterrorismo) ha reso trascurabile il dibattito se la classica vaccinazione anti vaiolosa praticata fino alla fine degli anni ‘70 possa proteggere parzialmente dal rischio di Mpox. La malattia è curabile: possediamo un antivirale efficace (Tecovirimal-TPOXX) per uso compassionevole nei casi di malattia severa nei soggetti immunocompromessi.

Infine l’allerta lanciata dall’OMS ha dettato una serie di semplici ed efficaci regole di prevenzione individuale (identificazione dei casi, disinfezione delle suppellettili), sociali (contact tracing, monitoraggio dei casi) e comportamentali (astensione sessuale per almeno 4 settimane sia per il soggetto affetto che per i contatti).

Pertanto la risposta alla prima domanda se Mpox abbia la potenzialità per configurarsi come malattia endemica grave in Europa è negativa. Si potranno verificare casi sporadici di importazione e circoscritti focolai epidemici, prevenibili e comunque curabili. In altri termini Mpox arricchisce il panorama delle infezioni già considerate tropicali e ora da considerare presenti anche da noi.

A questo punto possiamo tentare una risposta anche alla domanda ulteriore se il vaiolo delle scimmie abbia la potenzialità di dare origine ad una nuova pandemia globale, dopo il Covid-19. La risposta è decisamente no. Se esiste il rischio di una nuova pandemia globale per cui dovremmo prepararci facendo tesoro dell’esperienza del Covid-19, questo è verosimilmente legato all’influenza aviaria, infezione respiratoria che interessa milioni di ospiti nel pollame, stipati negli allevamenti intensivi e che ha dimostrato capacità di operare “salto di specie” all’uomo e anche di sostenere infezioni secondarie interumane.

In chiusura una raccomandazione importante: mettiamo da parte per quanto possibile la denominazione “vaiolo delle scimmie”, che è fuorviante in quanto può ingenerare l’errore di pensare di evitare il rischio evitando il contatto con primati non umani mentre il serbatoio reale sono i roditori “di compagnia” (criceti e scoiattoli) e soprattutto i ratti. Inoltre la denominazione è stigmatizzante in quanto fa pensare al rischio di promiscuità con le scimmie e al contagio sessuale.

Nessuno deve essere stigmatizzato per una malattia: in tal modo si ottiene solo che questa venga nascosta e negata, che è l’esatto contrario della possibilità di identificazione dei casi e di contact tracing. Nel passato abbiamo avuto esempi nefasti in questo senso offerti dalla sifilide e dalla tubercolosi. Impariamo a chiamare questa malattia Mpox, denominazione scientificamente corretta, anodina e non stigmatizzante.

Prof. Giampiero Carosi: