Vaccini “made in Italy” e ruolo sociale della scienza in pandemia. Intervista al direttore dell’Unità Malattie Infettive del Gemelli

Logo Interris - Cauda (Gemelli) a Interris.it: "Un patto tra scuola e famiglie per arginare il contagio"

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In pandemia ciò che conta è “garantire rapidamente” l’accesso universale al vaccino. Perciò “è auspicabile che l’Italia possa dotarsi di nuove progettualità e di un rinnovato impegno economico nel campo vaccinale“, spiega a Interris.it il professor Roberto Cauda, direttore dell’Unità Operativa Complessa (Uoc) del Policlinico Gemelli di Roma.

Un paziente affetto da Covid-19 trasportato in ambulanza al Policlinico Gemelli di Roma – Foto © Reuters

In prima linea contro la pandemia

Ordinario di Malattie Infettive dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il professor Roberto Cauda è tra i più autorevoli infettivologi a livello internazionale. Nato a Genova nel 1952, si è laureato in Medicina e Chirurgia nel 1976 all’Università degli Studi di Genova. Ha svolto attività di ricerca e didattica nelle università statunitensi. Università dell’Alabama e Università di Lubbock Texas. Ed europee. Parigi Reneé Descartes, St. Elizabeth Bratislava, Università di Trnava, Royal Infirmary Edimburgo. In prima linea in corsia al Policlinico Gemelli di Roma e nel suo studio all’Università Cattolica del Sacro Cuore, il professor Roberto Cauda combatte la guerra global al Covid-19. Pratica medica e teoria scientifica, come nella miglior tradizione della sperimentazione clinica sul campo. Ha collaborato con atenei europei, in particolare con l’università di Parigi, per stendere i programmi educazionali nella prevenzione anti-coronavirus. Ha contribuito al sequenziamento delle varianti del Sars-Cov-2 in collaborazione con il professor Massimo Ciccozzi. Responsabile dell’Unità di statistica medica ed epidemiologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma.Professor Roberto Cauda, dalla tubercolosi alla malaria l’Italia ha una lunga e gloriosa tradizione di contrasto scientifico alle malattie infettive. E’, ipotizzabile che sulla spinta della pandemia di Covid si torni a produrre in Italia vaccini e farmaci contro le malattie infettive?

“L’Italia ha una lunga e gloriosa tradizione di ricerca scientifica nel campo delle Malattie Infettive. E specie in passato, ha svolto un ruolo leader nella ricerca farmaceutica. Dal momento che sono state identificate e prodotte in Italia diverse nuove molecole. Sia per le malattie infettive. Sia per altre patologie”.A chi si riferisce?

“Per quanto attiene le malattie infettive, mi fa piacere ricordare il nome dei medici italiani. GB. Grassi, E. Marchiafava, A. Celli. Per citarne solo alcuni. Operavano negli ospedali romani. E hanno legato il loro nome ad importanti scoperte nel campo della malaria. Ricerche che, insieme a quelle di R. Ross nel Regno Unito, hanno contribuito a far luce su questa malattia”.Con quali effetti socio-sanitari?

“La malaria tra l’800 ed il ‘900 colpiva pesantemente anche il nostro paese. Non è del resto un caso che il primo congresso mondiale sulla malaria nel 1929 si sia tenuto a Roma. A dimostrazione dell’eccellente lavoro svolto in questo campo dai ricercatori italiani. Anche in anni più recenti, la ricerca italiana ha dato importanti contributi in molti campi della medicina”.Può farci un esempio?

“Riguardo alle malattie infettive non si può dimenticare lo straordinario impegno scientifico italiano. Importanti e significativi contributi sono arrivati nel campo dell’HIV/AIDS e della tubercolosi. Un impegno culminato nella seconda metà degli anni ‘80 nella pubblicazione di fondamentali studi. E nella loro condivisione con la comunità scientifica mondiale”. Quale via è stata seguita?

“Tutto questo è avvenuto anche grazie al lungimirante impegno da parte dell’Istituto Superiore di Sanità. L’Iss per molti anni ha investito in numerosi progetti in questi campi di ricerca. Hanno avuto poi un ruolo rilevante l’intelligente coordinamento e la progettualità espressa da due importanti esponenti della stessa istituzione. Come GB Rossi e A. Cassone. C’è stata in Italia anche la realizzazione di farmaci e di molecole innovative negli anni passati”.Poi cosa è successo?

“Questo aspetto ha subito una battuta di arresto in anni più recenti. Probabilmente per ragioni di natura economica e scelte aziendali. Indipendentemente dall’attuale situazione, ritengo che ci siano persone e strutture per produrre farmaci e vaccini in Italia. E cito ad esempio l’esperienza particolarmente rilevante di Sclavo a Siena, ove opera R. Rappuoli”.Per fare un paragone, nel dopoguerra l’Italia ha perseguito con Enrico Mattei l’autonomia energetica.  Considera oggi un obiettivo realistico quello di pensare ad un’autonomia italiana per quanto riguarda le forniture di vaccini e cure per le malattie infettive?

“Personalmente non sono favorevole al cosiddetto ‘nazionalismo vaccinale’. Ma ritengo che sia utile in questa delicata fase della pandemia poter disporre di un significativo numero di vaccini per agire su due punti”.Quali?

“Contenere l’infezione attraverso i mezzi di prevenzione per ridurre la diffusione del virus. E vaccinare il maggior numero di persone per togliere terreno al virus. Questo obiettivo si può ottenere importando i vaccini dall’estero dove vengono prodotti. Oppure producendoli sul proprio nel territorio nazionale. Nel primo caso, importandoli dall’estero, si è in qualche modo dipendenti dalle scelte altrui. Che possono essere condizionate anche dalla difficoltà di poter fornire in tempi brevi e in quantità elevate i vaccini a tutti quanti li richiedono. La seconda scelta, quella di produrli in loco, sicuramente consentirebbe di disporre di un numero di vaccini adeguato alla richiesta nazionale”.Con quali tempi?

“Va detto che questa ‘autonomia’ non si può raggiungere in un giorno. Ma richiede tempi tecnici che, pur correndo, sono sempre di qualche mese. Questa scelta comunque è vincente. Perché consentirebbe un approvvigionamento costante. E nel caso di Covid 19, potrebbe assicurare un necessario rifornimento. Nell’eventualità, che nessuno in questo momento è in grado di escludere, se a questa prima vaccinazione ne devono seguire altre. Nei prossimi anni. Per garantire un livello adeguato e costante di copertura nel tempo”.Alla luce delle sue numerose esperienze di docenza e ricerca scientifica negli Stati uniti e nell’Europa, trova che ci sia stata negli ultimi decenni una sottovalutazione del pericolo di epidemie?

“Certamente in passato c’è stata una sottovalutazione del pericolo di pandemie. Ciò ha portato ad una situazione che per COVID 19, soprattutto nei primi mesi della pandemia, ha causato notevoli difficoltà di gestione. Del resto, le scelte fatte in campo medico riverberano a lungo e ben oltre il momento in cui esse sono compiute. Ed influenzano in maniera significativa per un certo numero di anni. Questa scelta più o meno consapevole ha portato ad una sorta di ‘disattenzione’ nei confronti delle Malattie Infettive. E non ha riguardato solo l’Italia ma praticamente tutti i paesi industrializzati del mondo”.Perché?

“Era una scelta basata su una errata convinzione. Cioè che i farmaci antibiotici e chemioterapici, il miglioramento della nutrizione, della sicurezza dell’acqua e delle condizioni socio-sanitarie erano in grado di portare al controllo delle epidemie. O addirittura alla loro scomparsa. Così non è stato poiché non si erano adeguatamente considerati altri elementi. Che possono risultare cruciali per lo sviluppo delle epidemie”.Quali?

“In particolare la riduzione dell’habitat degli animali selvatici e le conseguenti occasioni di contatti più frequenti di questi con l’uomo. Che ha così la possibilità di contagiarsi con microorganismi ‘inusuali’. Inoltre la globalizzazione agisce come elemento diffusore di questi microorganismi a livello planetario. La prima delle due condizioni, vale a dire il mancato rispetto dell’ambiente, correla strettamente le epidemie con l’ecologia”.In che modo?

“Sottolineando in modo inequivocabile l’interdipendenza dell’una rispetto all’altra. Vale la pena sottolineare, a questo proposito, l’attualità della ‘Laudato si‘. L’enciclica di Papa Francesco ha affrontato in maniera compiuta ed autorevole il problema dell’ecologia. E dei pericoli conseguenti al mancato rispetto dell’ambiente. Da accademico non posso non evidenziare che un elemento peggiorativo alla diffusione dei patogeni infettivi è anche rappresentato dalla non adeguata preparazione nel campo delle malattie infettive. Frutto della falsa convinzione che esse erano scomparse”.Il Sars-Cov-2 potrebbe seguito da altre epidemie. Come si può adeguare la risposta sanitaria al pericolo di nuove emergenze? Sarebbe utile ripristinare la rete dei sanatori come è stato richiesto da più parti per l’ospedale Forlanini di Roma?

E’ possibile che ci possano essere in futuro ulteriori pandemie. Anche se nessuno sa identificare quando avverranno. Dal momento che è sempre possibile lo ‘spillover‘. Cioè il salto di specie di un germe presente in un animale selvatico. Ed il suo passaggio all’uomo. Per questo motivo è necessario prepararsi in modo serio ad una futura evenienza di questo tipo”.Come?

“Certamente occorre avere una rete di malattie infettive. Come è stata istituita in epoca pre-COVID dalla Regione Lazio. Ciò rappresenta un innegabile vantaggio per fronteggiare anche una possibile nuova pandemia. Un altro aspetto importante è quello di non ridurre, come avvenuto in passato, la disponibilità di posti in malattie infettive. E avere sempre a disposizione una riserva (tenuta in efficienza) di posti letto da utilizzare in caso di emergenza. C’è poi un ultimo ma determinante aspetto”.Cioè?

“Questa pandemia ci ha insegnato che una sanità per essere completamente efficiente non può basarsi solo sugli ospedali. Ma deve fare riferimento anche alla medicina del territorio. In quest’ottica andranno potenziati i servizi legati a questa medicina. Oltreché riconsiderare il ruolo fondamentale dei medici di medicina generale e dei pediatri. Importanti categorie di professionisti al servizio dei cittadini”.

Giacomo Galeazzi: