“Utopia, protopia e distopia”: una chiave di lettura

Nonostante la tendenza all’illusione o alla sfiducia, l’essere umano conserva ancora le sue potenzialità: né semidivinità né automa ma cuore pulsante di un’infinita alterità

Foto di Elliott Reyna su Unsplash

Al centro dei paradigmi estremi dell’utopia e della distopia, si pone, oggi, quello della “protopia”, che, molto più pragmatico, individua degli step graduali e costanti pur di arrivare a obiettivi migliori. Si tratta di una nuova definizione, più dinamica e propositiva, di “in media stat virtus”. La protopia si inserisce proprio nell’ambito della società delle polarizzazioni, dei contrasti e della divisione (o “con” o “contro”), per guidare l’impostazione della condotta di vita.

Il termine “utopia” rappresenta un mondo ideale, perfetto, di valori e principi, difficilissimo da realizzare ma al quale ambire, provando a raggiungerlo il più possibile. “Distopia”, per contrasto, simboleggia il mondo peggiore, nel quale non si desidera vivere. L’etimologia dei lemmi chiarisce ulteriormente i significati. Utopia deriva dai termini greci ū e tópos (ossia “luogo che non esiste”), distopia da dys e tópos (“luogo malvagio”) e protopia da pro e tópos (“a favore del luogo”).

Kevin Kelly, scrittore statunitense, ha introdotto il vocabolo definendolo come segue “Penso che la nostra destinazione non sia né l’utopia né la distopia né lo status quo, ma la protopia. La protopia è uno stato che è migliore di oggi rispetto a ieri, anche se potrebbe essere solo un po’ migliore. La protopia è molto molto più difficile da visualizzare. Poiché una protopia contiene tanti nuovi problemi quanti nuovi benefici, questa complessa interazione di lavoro e rottura è molto difficile da prevedere. Oggi siamo diventati così consapevoli degli svantaggi delle innovazioni e così delusi dalle promesse delle utopie passate, che ora troviamo difficile credere persino nella protopia, ovvero che il domani sarà migliore di oggi. Troviamo molto difficile immaginare qualsiasi tipo di futuro in cui vorremmo vivere”.

La novità del termine è nella sua possibile applicazione al controverso mondo attuale e a tutte le conseguenze che ne potrebbero derivare, difficili da interpretare. Potrebbe esprimere un focus attrattivo, in grado di destare coscienze. Occorre vigilare affinché non si traduca in attendismo e tiepidismo, nell’attesa che qualcosa piova dall’alto senza muovere un dito. La protopia è intesa in senso diverso dal mantenimento dello status quo: non si accontenta di rimanere in un anonimo stato di apparente quiete, di immobilismo mentale e fisico bensì cerca nuovi progressi e sfide possibili. Il timore per la perfezione o per la perdizione è, invece, estraneo a un paradigma improntato al movimento, alla crescita, alla fiducia e alla consapevolezza di agire rettamente.

Durante l’omelia della Santa Messa del 28 luglio 2002 (a Toronto, in occasione della XVII GMG), San Giovanni Paolo II affermò “Ho visto abbastanza per essere convinto in maniera incrollabile che nessuna difficoltà, nessuna paura è così grande da poter soffocare completamente la speranza che zampilla eterna nel cuore dei giovani. Voi siete la nostra speranza, i giovani sono la nostra speranza. Non lasciate che quella speranza muoia! Scommettete la vostra vita su di essa! Noi non siamo la somma delle nostre debolezze e dei nostri fallimenti; al contrario, siamo la somma dell’amore del Padre per noi e della nostra reale capacità di divenire l’immagine del Figlio suo”.

Ivan Peotta, consulente finanziario, è l’autore del volume “Protopìa” (sottotitolo “Consigli per accudire il futuro”), pubblicato da “EBS Print” nell’ottobre 2020. Parte dell’estratto recita “Alla soglia del XXI secolo si aprivano due variabili importanti: uno sviluppo tecnologico sempre più dirompente e una crescita demografica a tratti preoccupante, il tutto condito dalla consapevolezza che le antiche narrazioni, le utopie, stavano morendo, lasciando spazio a narrazioni della felicità sempre più atomizzate. Il rischio di un futuro distopico diventa sempre più palpabile. Viene quasi voglia di rimpiangere le vecchie narrazioni, così utopistiche da rasserenare gli animi. Eppure una chiave di lettura esiste: la Protopia”.

Il 22 gennaio scorso, AreaStudi Legacoop-Ipsos ha riportato i dati del report FragilItalia “Uno sguardo al futuro”, visibile al link https://www.legacoop.coop/areastudi-legacoop-ipsos-nel-2024-due-italiani-su-tre-non-si-aspettano-miglioramenti-della-situazione-complessiva-del-paese-gamberini-serve-rilancio/. Fra i dati, si legge “Dall’indagine emerge come gli italiani siano decisamente poco ottimisti sulle prospettive del nostro Paese nel 2024. Due su tre (il 67%) non si aspettano un miglioramento della situazione complessiva dell’Italia, in parallelo con le aspettative di segno negativo sull’evoluzione dello scenario internazionale, con una forte preoccupazione per i conflitti in corso (85%), i rapporti tra occidente e Russia (83%), i cambiamenti climatici(81%) e il terrorismo (80%). Va un po’ meglio per la situazione familiare, che per l’anno da poco iniziato 4 su 10 prevedono ‘altalenante’, ma con aspettative di segno positivo per l’andamento delle relazioni familiari (81%), l’amore, gli affetti e le relazioni con gli amici (77%), la salute (71%), il lavoro (61%). […] Netta divisione tra chi si sente incluso nella società e chi si sente escluso. I primi sono il 48% (con un picco del 69% nel ceto medio), in calo di 8 punti percentuali rispetto alla rilevazione di due anni fa; i secondi sono il 46% (con un picco del 72% nel ceto popolare), in crescita di 5 punti”.

I cambiamenti incutono timore ma presentano delle opportunità. La rivoluzione televisiva degli anni Sessanta è stata assorbita, seppur con le criticità ancora da limare. Il controverso stravolgimento digitale è, tra pregi e difetti, sulla stessa lunghezza d’onda. L’intelligenza artificiale che verrà pone, a esempio, scenari apocalittici ma anche di pieno favore; a chi, il tempo, concederà ragione? Di certo ad approcci non così estremi.

La dicotomia è presente in ogni aspetto della vita umana, teorico e pratico, in cui occorre confrontarsi continuamente e oscillare tra pessimismo e ottimismo, tra catastrofi e illusioni. L’essere umano tende a esasperare contenuti e contorni, spesso senza considerare la realtà e adoperarsi per migliorarla.

I messaggi che provengono dai media e dai social favoriscono tale estremizzazione e, raramente, offrono esempi di protopia, di graduale miglioramento del mondo circostante.

Il ruolo dei media è fondamentale poiché non deve focalizzare l’attenzione su quest’inevitabile scelta tra l’essere visionario, ingenuo e credulone per un mondo irrealizzabile e, invece, un cinico far west dei tempi contemporanei, in cui vige la legge dell’arena, del più forte, a scapito del più debole.

Occorre far comprendere, soprattutto alle nuove generazioni, come l’essere umano sia in grado di migliorarsi, non essendo un’antica espressione, un feticcio sorpassato che non ha da offrire qualcosa al mondo. Pur nelle traversie gravi della società contemporanea, l’individuo deve sempre credere e pregare affinché si trovino le soluzioni. La resa verso il doppio pessimismo (tra utopia e distopia), tenderebbe a un atteggiamento passivo, quasi rassegnato e giustificativo rispetto a guerre e crimini.

Al centro va considerata la persona: non il supereroe di un mondo utopico né il “finito” simulacro di se stesso in un ambiente distopico, bensì un essere consapevole dei propri mezzi, in grado di porli in azione solo per interazione con l’altro. Non esiste la società migliore ma la società può migliorare.

Strumenti del potere e dell’ideologia, l’utopia e la distopia sono state sfruttate nei secoli per prospettare felicità e benessere: giungere alla soluzione migliore, anche eliminando il nemico che si opponeva a tale prosperità. I risultati sono evidenti.

È subdolo e falso promuovere un futuro barbaro ed egoistico, in cui ognuno deve occuparsi soltanto di salvare la propria pelle poiché il prossimo è sempre pronto a offendere. L’utopia disegna un Eden meraviglioso al quale la persona ritiene di non poter aspirare, la distopia pretende di portare i piedi per terra e di constatare quale sia la triste condizione in cui qualcuno ci ha lasciato vivere.

L’“umanità protopica”, invece, sa che progresso e ambiente, benessere e salute, possono coesistere purché siano promosse intenzionalmente dal profondo e bilanciate in un equilibrio benefico per tutti. Tra idealisti e materialisti, si pone l’individuo che opera per sanare, per lanciare messaggi distensivi e ridurre quella costante, sottile, subdola, divisione che accompagna la società.

Se l’utopia è irrealizzabile e la distopia una condanna, la protopia è una soluzione, un cammino continuo e infinito di crescita, senza perdere le speranze come avviene, invece, per le due polarizzazioni.

Il cammino etico, fisico, spirituale, è stato tracciato dal Creatore: occorre percorrerlo, leggendolo in un’ottica di piena alterità, nello sguardo dell’altro. È necessario innalzarsi attraverso un disegno protopico, di crescita e non di pura e comoda resa, per di più imbrigliata dagli inganni divisivi.