La quarantena per l’epidemia di coronavirus ha fatto emergere una drammatica diseguaglianza nell’accesso alla rete tra i giovani del nord e del sud d’Italia. Il report pubblicato lunedì dall’Istat, “Spazi in casa e disponibilità di computer per bambini e ragazzi“, fotografa un divario digitale che impedisce lo studio on line a milioni di giovani privi di spazia adeguati, dispositivi digitali e connessioni veloci per lo scambio di dati. Un Italia a due velocità in cui rischia di allargarsi ancora di più il divario tra le famiglie più povere ed emarginate e quelle più abbienti.
Insomma, la retorica del “quanto è bello stare a casa” si infrange sulla realtà raccontata nel rapporto Istat che, tanto per cominciare, pone il tema del sovraffollamento abitativo. L’istituto di statistica ricorda che nel 2018 (ultimo dato disponibile) il 27,8% delle persone vive in alloggi sovraffollati rispetto ai metri quadri disponibili. Questa condizione di disagio è più diffusa per i minori, il 41,9% dei quali vive in abitazioni sovraffollate. “Il disagio si acuisce se, oltre ad essere sovraffollata, l’abitazione in cui si vive presenta anche problemi strutturali oppure non ha bagno/doccia con acqua corrente o ha problemi di luminosità” si legge ancora nello studio. Dunque, la condizione di grave deprivazione abitativa riguarda il 5% delle persone residenti e, ancora una volta, è più diffusa tra i giovani. Infatti, vive in condizioni di disagio abitativo il 7,0% dei minori e il 7,9% dei 18-24enni. La quota, rileva l’Istat, scende al crescere dell’età fino ad arrivare all’1,8% fra le persone di 75 anni e più.
Il quadro si fa ancora più fosco se si prende in esame il livello di digitalizzazione: nel periodo 2018-2019, il 33,8% delle famiglie non avevano computer o tablet in casa, la quota scende al 14,3% tra le famiglie con almeno un minore. Inoltre, solo per il 22,2% delle famiglie ogni componente ha a disposizione un pc o tablet. E’ facile pertanto intuire le difficoltà organizzative all’interno di quelle famiglie dove i genitori sono stati costretti alla smart working da casa e, contemporaneamente, i figli sono obbligati a seguire le lezioni e a farsi correggere i compiti sul web.
Il tutto si complica nel Meridione dove la percentuale di famiglie senza computer supera il 41%, con Calabria e Sicilia in testa (rispettivamente 46% e 44,4%). Nelle altre aree del Paese il dato si attesta all’incirca sul 30%. Più elevata al Sud anche la quota di famiglie con un numero di computer insufficiente rispetto al numero di componenti: il 26,6% ha a disposizione un numero di pc e tablet per meno della metà dei componenti e solo il 14,1% ne ha almeno uno per ciascun componente. Nel complesso, in Italia, il 57,0% dei ragazzi deve condividere il dispositivo con la famiglia.
Non va meglio, infine, sul piano delle capacità di usare le nuove tecnologie, infatti, sempre secondo l’Istat, appena solo 3 ragazzi su 10 hanno competenze digitali elevate. Nel 2019, il 92,2% dei ragazzi di 14-17 anni ha usato internet nei 3 mesi precedenti l’intervista, senza differenze di genere. Tuttavia, meno di uno su tre presenta alte competenze digitali (il 30,2%, pari a circa 700 mila ragazzi), il 3% non ha alcuna competenza digitale mentre circa i due terzi presentano competenze digitali basse o di base.
Il lockdown che stiamo vivendo deve dunque essere preso come la prova generale della digitalizzazione del Paese, un’occasione per registrare ritardi e disfunzioni di un sistema che non è ancora pronto per un lavoro completamente delocalizzato nelle abitazioni dei dipendenti e per una formazione obbligatoria che possa fare affidamento su internet.
Gli appelli a rimanere a casa, lanciati da celebrità che possiedono giardini di 5 ettari e case con piscina, stridono con la situazione delle famiglie italiane costrette alla condivisione forzata di spazi e risorse tecnologiche limitate. Ora l’emergenza sanitaria chiede a tutti il massimo sforzo per tutelare i soggetti più fragili e di sopperire alle mancanze con capacità di rinuncia, creatività e tolleranza alla frustrazione ma spetta alla classe politica e dirigenziale programmare fin da subito una “fase due” che metta attività produttive, scuola e minori in cima alla lista, per non giocarci il futuro economico e sociale di questo Paese. Non possiamo permetterci che un’intera generazione accumuli lacune e ritardi nel complesso di quelle conoscenze e capacità che gli saranno richieste per gestire l’Italia di domani.