La locuzione “child neglect” (bambino trascurato) rappresenta, a livello universale, una mancanza di attenzione, da parte delle figure genitoriali, nei confronti dei propri figli, soprattutto nei primi anni di vita, con ripercussioni enormi a livello psicofisico. Si verifica quando il “caregiver” crede di aver soddisfatto tutte le esigenze della persona da accudire ma, in realtà, omette, inconsapevolmente o colpevolmente, le giuste cure. Non si tratta di maltrattamenti fisici o violenze psicologiche bensì di indolenza e di mancanza della giusta attenzione, del prestare il vero ascolto.
I numerosi e gravissimi casi di abuso fisico e sessuale sui bambini, hanno indotto a concentrare l’attenzione su queste ignobili pratiche ma è necessario ricordare come esistano altre forme di prepotenza, non frutto di azione fisica. Indifferenza e superficialità sono alla base di questa problematica sempre più diffusa.
Il verbo inglese “neglect” si traduce, in italiano, con “trascurare”. È proprio questo l’atteggiamento che può subentrare in alcuni genitori, per diversa natura, nei confronti di un figlio. L’abbandono riveste ogni ambito della vita del bambino, vista la sua dipendenza, quasi totale, dall’accudimento/attaccamento dei genitori. Si profila, così, un distacco dal punto di vista affettivo, emotivo, legato all’istruzione e alla salute.
Un genitore può essere disinteressato per varia natura: per esperienze simili vissute personalmente (quindi ritiene normale un atteggiamento del genere), per problemi legati a droga o alcol, per squilibri di natura mentale o per un’adesione totale alla superficialità imperante.
La WHO (World Health Organization) definisce il child neglect come “l’abuso e l’abbandono che si verifica nei confronti dei minori di 18 anni. Comprende tutti i tipi di maltrattamento fisico e/o emotivo, abuso sessuale, negligenza, negligenza e sfruttamento commerciale o di altro tipo, che risultino in un danno effettivo o potenziale alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del minore nel contesto di una relazione di responsabilità, fiducia o potere”.
Le conseguenze, per un bambino abbandonato a se stesso, sono molteplici: da un punto di vista sanitario (se non seguito a livello medico) a quelli di natura cognitiva, relazionale e sociale, con disturbi legati all’apprendimento, allo sviluppo della personalità e all’autostima. A giustificare il “disimpegno”, un tempo, c’era la scusa del lavoro, della stanchezza alla fine della giornata, ora i tempi (al netto di vite volutamente ingolfate di appuntamenti) permettono ore di svago e di dedizione al piccolo. Più potere può avere, in questo caso, la nuova “dipendenza da schermi”: quelli del computer o del telefono cellulare (dedicati interamente ai social) e quelli della tv (in particolare con le piattaforme a pagamento che offrono un palinsesto infinito). Nell’epoca contemporanea, in cui l’attenzione e la disponibilità sono a servizio della fretta, delle scadenze e il poco tempo libero è, spesso, dedicato ai social, l’affezione ne risente in maniera irreversibile, creando disagi nel bambino.
San Giovanni Paolo II, in Polonia, in occasione del discorso ai bambini della Prima Comunione e ai catechisti, il 7 giugno 1997 ricordò “Sono prima di tutto i genitori ad avere il diritto e il dovere di educare i loro figli, in sintonia con le proprie convinzioni. Non cedete questo diritto alle istituzioni, che possono trasmettere ai bambini e ai giovani la scienza indispensabile, ma non sono in grado di dar loro la testimonianza della sollecitudine e dell’amore dei genitori. Non lasciatevi illudere dalla tentazione di assicurare alla vostra prole le migliori condizioni materiali a prezzo del vostro tempo e della vostra attenzione, di cui essa ha bisogno per crescere ‘in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini’. Se volete difendere i vostri figli contro la demoralizzazione e il vuoto spirituale, proposti dal mondo con vari mezzi e, a volte, perfino nei programmi scolastici, circondateli del calore del vostro amore paterno e materno e date loro l’esempio di una vita cristiana”.
Le istituzioni, la scuola, le associazioni sportive, musicali, svolgono un importante compito di formazione e di inserimento nel gruppo ma non possono essere le sole, come un salvagente che sopperisce alle mancanze: la base è il collante familiare che, poi, si sviluppa nelle suddette agenzie di socializzazione. Giorgio Bertini (psicologo e psicoterapeuta) e Paolo Dalla Vecchia (educatore professionale), sono gli autori del volume dal titolo emblematico “Nascita di un padre” (sottotitolo “Esperienze di sostegno alla genitorialità paterna”), pubblicato da “Gabrielli Editore” nel settembre 2021. “Per troppo tempo la figura paterna, dal punto di vista psicologico, ma anche da quello sociologico e culturale, è rimasta relegata sullo sfondo, secondaria rispetto al ruolo della madre. Solo negli ultimi venti anni i padri sono stati considerati dagli psicologi qualcosa di più che non l’‘altro-genitore’. Ripensare oggi al valore della funzione paterna significa tener conto del contesto sociale in cui viviamo e dei profondi cambiamenti che hanno comportato una progressiva modificazione nel modo di interpretare ruoli e funzioni genitoriali”.
Un report del 2019, dal titolo “Osservatorio sulle famiglie di oggi: indagine sul rapporto tra genitori e figli”, visibile al link https://centromarca.it/wp-content/uploads/2019/06/ipsos-for-ferrero-kinder-barometer-wave-3-italy-press-conference-i-5_101782-1.pdf, offre informazioni molto interessanti. Il campione riguarda 500 genitori di ragazzi dai 7 ai 15 anni e 500 ragazzi dai 7 ai 15 anni. Fra i numerosi dati, in termini di percentuale multipla, sul tema “momenti trascorsi insieme che avvicinano maggiormente i genitori e i figli”, si legge che il “darsi baci e abbracci” è scelto dal 47% dei genitori e dal 44% dei figli. Seguono “ridere insieme” (40% e 35%), “rassicurare quando qualcosa non va” (31% e 22%), “chiedere della giornata a scuola” (28% e 21%), “giocare insieme” (24% e 29%), “guardare la TV insieme” (20% e 23%).
Il ministero della Salute, al link https://www.salute.gov.it/portale/saluteBambinoAdolescente/dettaglioContenutiSaluteBambinoAdolescente.jsp?lingua=italiano&id=5706&area=saluteBambino&menu=azioni, ricorda “Fin dai primi mesi di vita lo sviluppo affettivo e cognitivo del bambino avviene in quanto parte di una relazione continua e stabile con la madre e il padre, e il significato che assume per il bambino dipende anche dal modo in cui viene guardato, ascoltato, pensato e ‘sentito’ da parte di chi lo accudisce. Assume una grande rilevanza l’esposizione al contatto fisico, alla parola, alla musica, a oggetti capaci di generare esperienze significative. […] il bambino deve essere considerato portatore di competenze, valori e diritti”.
La S.I.P.Ped. Società Italiana di Psicologia Pediatrica, al link https://www.sipped.it/public/files/giugno18/Slide_neglect_neuropsicologia.pdf, riporta “Ogni 100 minorenni italiani maltrattati: […] 47 sono vittima di trascuratezza fisica e/o affettiva (35 media europea)”. Si tratta di un maltrattamento omissivo poiché non si sviluppa attraverso azioni bensì nel non compiere gesti, nell’immobilismo e nell’indifferenza. Si penalizza così, il piccolo e non si stimola la sua curiosità né i suoi miglioramenti. Le gratificazioni nei progressi motori, linguistici, intellettivi sono necessarie e se mancano, la strada verso la sfiducia personale è inevitabile.
La tecnologia, il web e i social hanno solo accelerato e aumentato la trascuratezza “tradizionale”; sono finiti nell’occhio del ciclone ma la freddezza che si respirava in famiglie rigide, con genitori severi e poco dediti a giocare con i figli, è recente. In molti casi, il genitore non si rende conto del suo comportamento assente e valuta corretto il proprio (non) agire. L’inconsistenza che alcuni adolescenti dimostrano nei confronti della società è frutto di un’indolenza che si trascina da anni e che nasce dal vuoto affettivo e dialettico provato da piccoli.
Un bambino “abbandonato” sarà un adolescente parimenti trascurato e poi un adulto/genitore che sarà indotto a perpetrare un atteggiamento distante, a meno che non comprenda l’importanza dell’attenzione e si adoperi in tal senso. Il sentirsi non amato ed essere considerato come un peso, come impedimento alle attività ludiche di papà e mamma, è un peso enorme per il bambino, con il rischio di generare un perpetuo senso di colpa. In alcune circostanze, il neonato inizialmente visto come novità, occupa il primo posto nelle attenzioni dei genitori, poi, crescendo, valutato come zavorra, scivola fino ai margini, al gradino più basso. Un figlio zittito o inascoltato, i cui sentimenti, emozioni, paure, dubbi non possono essere espressi o rimangono nel silente vuoto, finisce per chiudersi irrevocabilmente.
Altro elemento da considerare, è la parziale confusione dei ruoli, in cui il corretto rapporto “gerarchico” fra genitori e figli è, invece, promiscuo: i primi tendono a essere amici dei secondi e questi sono investiti di responsabilità eccessive per l’età. Si sviluppa il paradossale squilibrio dell’infantilizzazione dei genitori contro l’adultizzazione dei figli.
“L’importante è che sia felice” non esaurisce la funzione e la giustificazione del caregiver: la felicità non è sempre espressione di un comportamento corretto. Si può, infatti, essere felici anche nel commettere azioni negative; in tal caso è necessaria la figura adulta che possa aiutare a discernere e a saper pronunciare anche il tanto famigerato “NO”. Vi è una differenza enorme tra il bambino che chiede la lettura di una fiaba prima di dormire e il genitore che, invece, gli avvicina un dispositivo (tablet o telefono cellulare) e lo invita a preferire la ricerca fra tutte le infinite favole presenti nel web. Da solo.