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UK, stop al Piano Ruanda ma l’immigrazione illegale resta

Keir Starmer ha confermato l'archiviazione del controverso programma di deportazione. Ma per il Paese urge una politica di gestione

Oltre 10.700 migranti in entrata in meno di cinque mesi. Sono i numeri del Regno Unito, aggiornati al 25 maggio scorso, quando l’elezione quasi plebiscitaria di Keir Starmer si percepiva a malapena nell’aria. Un periodo, estremamente prossimo a quello che ha visto l’insediamento del governo laburista, nel quale aveva già indossato le vesti della legge il piano anti-immigrazione clandestina messo a punto dal premier Tory, Rishi Sunak. Un programma che, già in quei giorni, non aveva mancato di sollevare polemiche a livello internazionale, nonostante l’intenzione fosse quella di limitare gli ingressi irregolari nel Paese e ricollocare, in Ruanda, tutti coloro senza diritto di asilo. Un piano che, di fatto, corrispondeva a una deportazione vera e propria, contestata dall’opposizione laburista che, tra le promesse elettorali dell’ultima tornata di voto, aveva inserito proprio la rimozione del controverso programma di gestione migratoria.

Cosa prevedeva il Piano Ruanda

Detto fatto. Non appena insediatosi a Downing Street, il neo-premier Keir Starmer ha confermato che il Safety of Rwanda Bill (nome ufficiale del provvedimento) se ne andrà in soffitta, lasciando il posto a nuovi progetti per il controllo dei flussi migratori illegali. Il leader laburista ha posto come motivazione il sostanziale fallimento del piano nei mesi intercorsi dal varo (zero migranti accolti dal Paese africano, nonostante i 290 milioni di euro corrisposti per l’avvio del programma) e la natura stessa delle disposizioni. Il Piano Ruanda, infatti, prevedeva il trasferimento dei migranti giunti illegalmente (quindi senza diritto di asilo) nel Regno Unito a Kigali, da dove sarebbe stato per loro possibile chiedere (e magari ottenere) lo status di rifugiato per restare nel Paese, oppure richiedere l’accoglienza a un Paese terzo ritenuto sufficientemente sicuro. Lo stesso Sunak aveva parlato del piano come di un potenziale deterrente all’immigrazione illegale e, al contempo, un colpo contro le organizzazioni criminali che lucrano sulle migrazioni.

Il problema dell’immigrazione illegale

Niente di tutto questo, secondo Starmer. Il piano di deterrenza, infatti, non sarebbe stato efficace per contrastare un’immigrazione clandestina che, a oggi, continua a riservare numeri elevatissimi: “In Inghilterra, ogni anno, entra un numero di migranti non aventi diritto pari alla popolazione della città di Manchester – ha spiegato a Interris.it Bepi Pezzulli, direttore di Italia Atlantica -. Nessun Paese al mondo può permettersi questo tipo di immigrazione incontrollata“. Nondimeno, a Sunak era stata mossa la critica di aver posto le basi per un progetto di deportazione in grado di ledere lo stato di diritto. Un allarme suonato da Freedom from Torture, Liberty e Amnesty International, con la seconda a parlare della legge come di “una disgrazia nazionale”, che metteva a rischio di “torture e soprusi” i sopravvissuti al mare.

Il peso sul welfare

A ogni modo, al netto della cancellazione del Piano Ruanda, è oggettivo il fatto che, per il Regno Unito, l’immigrazione illegale resti un problema sostanziale. Lo ha precisato lo stesso Starmer, nel muovere la sua critica al rivale conservatore, evidenziando “un record nei primi sei mesi” del 2024. Il punto, semmai, sta nel definire quali saranno gli strumenti che il governo laburista, già intento in una politica che prevedrà l’aumento del peso fiscale, metterà in atto per risolvere il problema: “La cancellazione del Safety of Rwanda Bill genererà ulteriori costi per l’accoglienza. E, per questo, nel giro di un anno e mezzo i britannici si accorgeranno che i cambiamenti non saranno quelli promessi”. Va tenuto conto, infatti, che il perdurare di flussi migratori illegali incontrollati andrebbe a incidere sul welfare del Paese: “Il mercato immobiliare subisce un incremento dei costi – ha spiegato ancora Pezzulli -, quello del lavoro viene distorto in quanto aumenta la manodopera clandestina”.

Verso il nuovo piano

Resta poi il problema della gestione interna dei nuovi arrivati, considerando che “la maggior parte di queste persone non hanno diritto all’asilo politico. Sono uomini, giovani e senza carta d’identità, che non vengono propriamente identificati. E, per questo, di loro si sa poco o nulla. Il problema è che se non hai un accordo con un Paese per il loro dislocamento, non puoi mandarli da nessuna parte”. Al netto del naufragio del Piano Ruanda, in sostanza, il Regno Unito si trova sostanzialmente al punto di partenza, coi lab a dover applicare il loro programma in relazione allo stesso target: “Il programma di deportazione in Ruanda riguardava tutti coloro che non avevano diritto all’asilo politico e quindi a restare nel Paese. E, se è chiaro che l’immigrazione clandestina non può essere accettata, lo è anche il fatto che la soluzione non può essere la retorica. Anche il piano del Labour, che mira a colpire le organizzazioni criminali che ha messo in piedi l’immigrazione clandestina, corre il rischio di esserlo”.

L’urgenza di un dibattito maturo

È innegabile, d’altronde, che la deterrenza tramite deportazione fosse un’ambizione perlomeno ottimista, considerando la disperazione di chi attraversa il mare in cerca di una nuova vita. Resta tuttavia la necessità di arginare i flussi illegali anche per evitare di accrescere il business che grava sulle spalle di chi fugge dalla propria terra. “Ogni volta che ci sono grandi distorsioni, si creano interessi consolidati. Chi gestisce l’accoglienza dei clandestini, ad esempio, riceve enormi pagamenti da parte dello Stato. Si creano quindi lobby ben finanziate che vanno contro gli interessi nazionali. E il problema si trasferirebbe a chi ha il compito di trovare servizi sociali, case popolari, di aumentare i medici dell’NHS. Inoltre, stiamo parlando di un’isola, con problemi di spazio e necessità di gestione. Altrimenti le infrastrutture arriverebbero al collasso, mentre il Pil pro capite continuerebbe a scendere. Serve un dibattito maturo su questi temi”.

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