Papa Francesco, nel corso del suo pontificato, ha più volte sottolineato che, la politica, resta “una delle forme più alte di carità”. A tal proposito, sulla base di questo insegnamento, ripercorrendo la storia contemporanea del cristianesimo sociale nel nostro Paese, da don Luigi Sturzo, ad Alcide De Gasperi fino ad arrivare a Giuseppe Dossetti, Aldo Moro, don Lorenzo Milani e Pietro Scoppola, l’impegno politico dei cattolici, ha avuto come suo tratto unificante e imprescindibile, la tutela del bene comune. Oggi quindi, basandosi sugli insegnamenti della storia e guardando alle sfide future, in un’epoca in costante mutamento e connotata dall’emergere di nuove fragilità, lo sguardo cristiano, può contaminare l’agenda politica ed elaborare risposte fraterne a questioni complesse. Interris.it, in merito a questo tema, ha intervistato il giornalista Claudio Sardo, curatore del libro intitolato “Sfidare il realismo. Politica dei cristiani e radicalità evangelica” (editrice Marietti, 2024).
L’intervista
Sulla base del messaggio evangelico di Papa Francesco, che ruolo possono giocare le associazioni e i movimenti cattolici per il rilancio di una politica dei cristiani?
“Viviamo un vorticoso cambiamento d’epoca e il magistero di Papa Francesco è imperniato su una radicalità evangelica che non può non scuotere i credenti. Non è più il tempo di moderatismi, di equilibrismi, di opportunismi variamente mascherati. I cristiani sono chiamati a essere testimoni dei valori più autentici che scaturiscono dalla loro fede. La pace, la fraternità, la solidarietà a partire dai più deboli, la giustizia sociale, la cura, l’accoglienza della vita e dei fratelli in difficoltà, la sostenibilità, il riequilibrio ecologico, la lotta per il lavoro, la dignità di ogni persona, il rifiuto di ogni logica di scarto. Non mancano coloro che, di fronte alle insidie del tempo nuovo e al pericolo di perdere posizioni di privilegio, vorrebbero alzare dei muri e, magari, costruire un vero e proprio bunker attorno a una Chiesa eretta a simbolo dell’Occidente (che non è più il centro gravitazionale del pianeta). Papa Francesco ci invita a fare il contrario: a uscire dai luoghi protetti, a costruire ponti, a richiamare le religioni a un dialogo fecondo, a gettare semi di pace laddove oggi c’è odio, violenza, sopraffazione. Associazioni e movimenti cattolici possono, prima e più di altri, farsi interpreti oggi di questo spirito, di questo “ritorno al Vangelo” che non è fuga dalla realtà ma rischio, impegno per l’uomo, investimento sul futuro. Possono farlo meglio di partiti o di correnti di partito perché queste, nel cambiamento, sono condizionate da compatibilità sempre più stringenti. Siamo arrivati al punto che la parola pace è diventata quasi impronunciabile. Se qualcuno grida “pace” viene accusato di essere dalla parte di questo o di quello. Siamo arrivati al punto che vengono bollate come impraticabili le politiche di sostegno per i poveri, le ipotesi di reddito minimo, gli aiuti alle famiglie numerose. Se associazioni e movimenti cattolici avranno il coraggio di dire, e di praticare, un po’ di quella radicalità evangelica di cui parla Papa Francesco, credo che anche la rappresentanza politica sarebbe poi costretta a tenerne conto e a spostare i propri confini. Per questo abbiamo dato al libro il titolo: “Sfidare il realismo”. Non intendevamo che si può fare a meno della realtà. La politica non è neppure pensabile senza una seria analisi della realtà. Ma per agire, per fare qualcosa di significativo, occorre provare ad andare oltre la realpolitik. È necessario tentare di forzarla. Solo così si possono raggiungere traguardi che oggi vengono, da alcuni, considerati impossibili”.
La fraternità attiva, coerentemente con il Vangelo, è fondamentale per la costruzione della democrazia. Qual è il compito dei cittadini cristiani su questo versante?
“La fraternità è la grande abbandonata della triade rivoluzionaria francese. Libertà e uguaglianza hanno continuato a marciare dopo la fine del ‘700 e hanno prodotto le ideologie che si sono fronteggiate per oltre due secoli, fino a giorni nostri. La fraternità è stata messa da parte. Al più è stata usata nella modalità – un po’ scolorita – della solidarietà. Ma senza fraternità, l’intera costruzione democratica rischia di diventare fragile. Lo vediamo ai nostri giorni, dove incombono le minacce delle guerre, degli egoismi economici, delle volontà di potenza, del perdurante sfruttamento delle risorse naturali a danno delle generazioni future, delle sempre più divaricanti condizioni di chi è ricco e di chi è povero. La democrazia non detiene in sé, nel proprio ordinamento, le energie per rinnovare i presupposti etici e civili che la tengono in vita. Senza questi presupposti, che stanno nella vita delle comunità e nei comportamenti sociali, le democrazie possono spegnersi. La fraternità, oltre a essere un valore evangelico primario, è dunque anche un ingrediente essenziale per la vita sociale, e per la democrazia. La fraternità può cambiare lo spazio pubblico. Papa Francesco ha posto questa tema con una forza inedita. Sta parlando con noi, con il mondo, non sta raccontando favole. I cristiani sono chiamati ad assumersi la loro responsabilità nel mondo e devono farlo a proprio rischio e pericolo. Non devono sentirsi la longa manus di un potere temporale che non c’è più. Ma il fatto che non c’è un mandato esplicito, un ordine gerarchico da eseguire, non vuol dire che il credente è legittimato a disertare l’impegno o a nascondersi cercando un improbabile centro, una via di mezzo, tra le offerte esistenti”.
Le guerre, le ingiustizie sociali e i cambiamenti climatici stanno facendo sentire sempre di più i loro effetti sulla vita quotidiana di tutti noi. In che modo, la politica dei cristiani, può migliorare le prospettive future della nostra “Casa comune”?
“L’idea della Casa comune è uno dei frutti più belli della Costituzione e poi del Concilio. I cristiani farebbero bene a ricordarlo sempre, e a mantenere nelle proprie azioni questa stella polare. Si può fare molto per la Casa comune, anche se in tanti ripetono che si possa far ben poco di fronte a leggi di mercato e poteri sovranazionali che ormai sovrastano i poteri stessi degli Stati, e dunque ciò che abbiamo finora inteso come la politica. Non dobbiamo arrenderci all’idea dell’impotenza politica. La Costituzione, che purtroppo qualcuno vorrebbe stravolgere, è ancora un tesoro di opportunità, di valori, di principi a cui ispirare la nostra azione collettiva. La Costituzione va attuata e non archiviata. Allo stesso modo l’Europa è la dimensione della politica che può riscattare la debolezza dei nostri Stati nel processo di globalizzazione e negli sconvolgimenti geopolitici che stiamo attraversando. C’è, ahinoi, chi si illude che rinunciando alla prospettiva europea, possano tornare a splendere i nazionalismi dei secoli passati. Ma questo è spaventoso. La storia ci ha dimostrato, drammaticamente, che i nazionalismi alimentano i conflitti. Difendere la Casa comune, insomma, non vuol dire coltivare la nostalgia di un passato che non può tornare, ma andare avanti, insieme, verso nuove frontiere, verso nuove sfide. Con speranza, anche dove c’è sfiducia. Spes contra spem. Sarebbe bello se diventasse il nostro motto”.