Dal punto di vista dei consumi il 2020 “si può ritenere un anno anomalo“, secondo il presidente del Centro Consumatori Italia, il professor Rosario Trefiletti. Il periodo della pandemia ha colpito le tasche degli italiani, secondo Banca d’Italia, modificandone le abitudini di acquisto. Come è accaduto nel comparto ortofrutticolo, secondo l’Istituto di servizi per il mercato agricolo (Ismea), in cui si è registrata una crescita nella vendita e nella spesa di prodotti sfusi e una contrazione di quelli di IV gamma, cioè quelli freschi, lavati, confezionati e pronti al consumo.
L’analisi
Nel report Speciale acquisti ortaggi IV gamma, interamente dedicato al settore, Ismea evidenzia l’inversione di tendenza che si è verificata nel nostro Paese lo scorso anno, quando il segmento che prima era trainante nel comparto, è stato scalzato. Dati alla mano, l’istituto riporta la flessione del 4,1% della vendita presso la grande distribuzione organizzata dei prodotti di IV gamma, e del 5,6% per quanto riguarda la spesa “per via dei prezzi medi più contenuti”. Mentre ha registrato “una performance molto positiva l’intera categoria degli ortaggi freschi (+10,7% gli acquisti in volume, +10,5% in valore)”.
Il principale acquirente degli ortaggi freschi confezionati è il nucleo famigliare con reddito medio-alto, residente nel Nord-Ovest, che compra al supermercato. I prodotti di IV gamma, infatti, diffusi attraverso i canali della gdo, in media hanno prezzi fino a tre volte più alti rispetto a quelli sfusi. Nel suo rapporto, Ismea porta l’esempio dell’insalata in busta e di quella in cespo: la prima ha un prezzo medio di 7,21 euro al chilogrammo, la seconda 2,19 €/kg. Il fresco confezionato risulta quindi meno economico per chi ha un reddito medio-basso o, peggio, vive in condizioni di povertà relativa se non di indigenza.
Con la pandemia, per l’Istat, si è perso quasi un milione di posti di lavoro nel nostro Paese e la situazione ha costretto molte famiglie italiane a ridurre i propri consumi, anche in ragione di un calo del potere d’acquisto, anche tra professionisti e partite Iva – soprattutto nelle aree più colpite dal Covid o dalle misure di contenimento. Circa sei famiglie su dieci, ha stimato di recente Bankitalia, hanno avuto difficoltà ad arrivare alla fine del mese e il 45% dei nuclei famigliari intervistati prevede che nei prossimi 12 mesi spenderà meno del proprio reddito annuo.
Come si comportano i consumatori
“Il 2020 modificherà i consumi, ma non modificherà la statistiche annuali. Consideriamolo un anno anomalo”, ha detto a InTerris.it il presidente del Centro Consumatori Rosario Trefiletti. “L’agricoltura e prodotti agricoli in generale hanno avuto un buon margine di vendita perché le famiglie, nel periodo della pandemia, sono rimaste al chiuso”, spiega Trefiletti, e questo ha portato a un “aumento dei consumi di prodotti agroalimentari”.
“La mia personale interpretazione” – prosegue – “è che famiglie non hanno più avuto i tempi strettissimi per tornare in ufficio o al lavoro, oltre al fatto che i prodotti già confezionati costano di più rispetto a quelli non confezionati”. Interpretazione suffragata anche dal report Ismea, che cita tra le nuove abitudini di acquisto in periodo di pandemia una “maggiore attenzione alla spesa di una fetta rilevante di popolazione” e “la minore necessità di preparare rapidamente un pasto leggero da portare in ufficio”.
Calo del potere d’acquisto
Nel documento Principali risultati della quarta edizione dell’Indagine Straordinaria sulle Famiglie italiane, Bankitalia scrive che la percentuale delle famiglie che in questo anno segnato dal Covid ha incontrato difficoltà a far quadrare i conti alla fine del mese è salita al 60%, registrando un +10% rispetto al pre-pandemia. Addirittura il 40% ha dichiarato che il reddito non è bastato a coprire le spese. In un Paese forse più povero e con scarsa fiducia nel domani (solo il 16% ritiene che usciremo dall’emergenza sanitaria nell’anno in corso), quasi la metà di chi ha partecipato all’indagine della banca centrale ha dichiarato quest’anno spenderà meno del proprio reddito annuo.
Riguardo a reddito e spesa nel settore ortofrutta, dal rapporto Ismea emerge che, per via del maggior costo unitario del confezionato rispetto al fresco, il 55% delle vendite dei prodotti di IV gamma “è assorbito da famiglie a reddito alto e medio-alto mentre quelle reddito basso il 14%”, categoria quest’ultima “che registra la maggior contrazione degli acquisti in periodo pandemia (-8,5% volumi e -13% la spesa)”.
“Nel 2020 c’è stata una diminuzione del potere d’acquisto in generale, un fenomeno che generalmente riguarda i disoccupati”, illustra il professore, stavolta “la caduta del potere d’acquisto c’è stata anche per molti professionisti o partite Iva, che hanno subito cali anche molto vistosi”. Mentre gli ultimi, chi è più difficoltà o addirittura vive in povertà, “o si rivolgono alla Caritas o vanno al banco del contadino a fine giornata, quando i prezzi possono essere più scontati”, spiega il presidente del Centro Consumatori Italia.
Al tempo stesso, il professor Trefiletti non manca di sottolineare gli episodi di umanità e generosità: “Nei mercati rionali abbiamo visto gesti di solidarietà da parte dei commercianti nei confronti di persone anziane o più povere”.
“Mercato frastagliato”
Mercati rionali, supermercati, ipermercati, discount (anche triscount), mercati di vendita diretta e negozi all’interno di una filiera di gestori non italiani. “Il mercato si sta frastagliando”, conferma Trefiletti. Nell’anno della pandemia, tutti i canali distributivi dove si possono acquistare prodotti di IV gamma (quasi la metà della vendita passa dai supermercati) hanno registrato una flessione, soprattutto gli ipermercati (-10%), scrive Ismea.
“Generalmente si va al supermercato perché ha i prezzi inferiori anche del 20%”, prosegue il professore, ma è nei mercati di vendita diretta, quando i produttori diretti vendono i frutti della propria terra, aggiunge, che si trovano “prezzi più contenuti e più garanzia di qualità“.
Trefiletti illustra un fenomeno recente nel nostro Paese, che acquista sempre maggior presenza e importanza soprattutto nelle grandi città. “Una filiera di gestori non italiani che si caratterizza però i prezzi decisamente bassi”, spiega. “Andrebbe analizzata, per adesso si può solo supporre che ci sia una forte produttività nelle filiere di questi negozi forse dovuta a dei salari più bassi“.
Prospettive non rosee
Se il comparto ortofrutticolo è rimasto stabile, bilanciato dalla contrazione del segmento fresco confezionato e dall’aumento di vendita del fresco sfuso, in generale il settore agroalimentare ha subìto un danno da uno degli effetti collaterali della pandemia. Spiega infatti il presidente del Centro Consumatori: “Ciò è dovuto minor lavoro ristoranti, trattorie, osterie e alberghi, per la minor presenza del turismo“. Particolarmente colpito è stato il consumo di vino: “La contrazione più forte a livello generale, quando stavamo diventando tra i primi produttori ed esportatori nel mondo“.
Esprimendo un suo parere sulle prospettive del mercato agroalimentare e in generale sulla ripresa dell’Italia, il professore si augura “che il Pnrr sia messo presto campo dare potere d’acquisto e lavoro ai giovani“, ma avverte che “si profila all’orizzonte un aumento dei prezzi perché sono saliti molto rapidamente i prezzi delle materie prime“, come il mais e la soia usati per gli allevamenti “e questo comporterà aumento dei costi dei prodotti trasformati”. E’ inoltre salito anche il prezzo del petrolio, che probabilmente porterà a un aumento dei costi dei trasporti. “Speriamo che ci sia almeno la ripresa del lavoro”, conclude il presidente del Centro Consumatori Italia.