Se n’è parlato spesso. Finché, ormai da qualche anno, l’abitudine ha fatto sì che non se ne parlasse più. E pensare che, proprio dinnanzi a uno dei più imponenti monumenti al degrado di Roma, giusto vent’anni fa, Giovanni Paolo II incontrava due milioni di giovani, a due passi dall’Università di Tor Vergata, sui prati che si snodano ai piedi dei pendii che salgono verso i Castelli Romani. Sarebbe dovuta essere una struttura avveniristica la “Vela”, decine di metri di altezza, visibile praticamente da ogni angolo dell’area orientale di Roma, dal tratto della Roma-Napoli che costeggia Tor Vergata e, in tutta la sua ampiezza, dal belvedere di Frascati. Più di dieci anni fa, l’imminenza dei Mondiali di nuoto nella Capitale, anno 2009, mise in cantiere uno dei progetti più imponenti dell’ingegneristica capitolina, richiedendo l’intervento di un archistar come Santiago Calatrava. Nemmeno uno stadio, ma un’intera cittadella dello sport, da realizzare per dare il là allo sviluppo urbano di quella fetta di città, stile villaggio olimpico. Resterà un bel sogno.
Uno stallo annoso
La Vela sorge rapidamente, più o meno allo stesso ritmo con il quale calano i finanziamenti che dovrebbero sostenere i costi di realizzazione della Città dello Sport. Lavori fermi già nel 2007, poi a giugno 2008 la decisione: darci un taglio con Tor Vergata e spostare tutto al Foro Italico, a un anno esatto dai Mondiali. L’organizzazione lampo riesce, viene fuori un bel Mondiale ma l’occhio continua a guardare a Est. Allora come oggi. Perché dove ci si era fermati nel 2008 si è tutto sommato rimasti, nonostante i tentativi di mettere assieme un progetto che consentisse di salvare un’opera che, da sola, avrebbe necessitato probabilmente di più di 400 milioni di euro per essere completata (più della metà in lavori di recupero). Troppo, secondo la sindaca Raggi, affinché si potesse pensare di riprendere le fila del discorso. E il commento poco ottimistico è ormai datato a un anno fa: “È un tema complesso: demolirle o costruirle costerà qualche centinaia di milioni di euro. Al momento ci stiamo concentrando sull’impiantistica comunale. È comunque sicuramente un tema, lo stiamo valutando anche con l’Università di Tor Vergata, ma il recupero di quel proto-impianto è un’attività molto complessa”.
Nessun progetto
Il risultato è che, almeno per il momento, il cantiere resta una cattedrale nel deserto, a due passi da un’Università che ospita il terzo numero di iscritti negli atenei romani e che avrebbe dovuto vedere nel mega-progetto delle Vele l’ampliamento del campus universitario una volta terminati i Mondiali del 2009. Niente di tutto questo, almeno per ora. E niente che lasci presagire un recupero a breve termine (e nemmeno a lungo a dire il vero), con i confini dell’area di scavo chiusi solo a fasi alterne e una progressione di deterioramento che rischia di andare ben più veloce di qualsiasi progetto di recupero, sempre che ve ne siano. Per ora, non sembra se ne parli nemmeno in ottica 2022, anno degli Europei di Nuoto a Roma, anche perché, visti i due anni a disposizione rimasti, c’è da considerare che ne occorrerebbero perlomeno il doppio solo per la rimessa in funzione del cantiere e, magari, per completarne le strutture. Ammesso che un ente (o un insieme di enti) sia disposto a investire il capitale che manca. Niente che lasci presagire, quindi, un impiego per un evento che (Covid permettendo) se non starà sui numeri dei Mondiali di undici anni fa, poco ci manca. E pensare che, quasi fosse in ante-litteram, il nome di Tor Vergata balenò anche in relazione al progetto Stadio della Roma, quando l’area dell’ex Ippodromo di Tor di Valle aveva iniziato a perdere quotazioni. Altro scenario che, assieme allo Stadio Flaminio e all’ex Campo Testaccio, resta uno dei nodi irrisolti sul piano infrastrutturale e sportivo della città.
Patrimonio incolto
Uno stallo di tempi e di costi che ha prodotto uno dei più grossi equivoci infrastrutturali degli ultimi vent’anni. Un progetto che pareva all’avanguardia e che, ora, rappresenta quasi un’attrazione involontaria per chiunque si trovi a passarci vicino, oltre che un compagno di giornate quantomai ingombrante per i residenti di Tor Vergata nuova. Un destino crudele per la Vela e per un’area che, a due passi da lì, intreccia vite e ricordi, fra l’animosità dell’ateneo e quello spiazzo che il cuore della gioventù mondiale nell’agosto del 2000. Il quale, peraltro, non si presenta in migliori condizioni, vinto dal tempo e da una cura arrivata solo in parte negli ultimi vent’anni. E solo per eventi spot. Un controsenso che rischia di protrarsi ancora a lungo, a discapito di un complesso di prati e piste ciclabili che avrebbe meritato ben altra sorte.