L’obiettivo della ventiseiesima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni unite, meglio nota come Cop26, che si tiene a Glasgow in questo inizio novembre, è quello di mantenere quanto si era stabilito sei anni fa con l’Accordo di Parigi, cioè limitare l’aumento della temperatura del pianeta entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto al livello pre-industriale. Obiettivo che s’intende raggiungere con l’azzeramento delle emissioni nette di CO2 entro la metà del XXI secolo. A fronte di una data prevista per il 2050, la Cina (il cui presidente Xi Jinping, come il suo omologo russo Vladimir Putin, non si è recato in Scozia) l’ha spostata in avanti al 2060, mentre l’India al 2070. Le strategie che s’intende mettere in campo sono la decarbonizzazione, il passaggio dalle fonti di energia fossili a quelle rinnovabili, lo stop della deforestazione, la protezione degli ecosistemi e la mobilitazione di finanziamenti per il clima da parte dei Paesi sviluppati in aiuto a quelli in via di sviluppo per la riduzione delle emissioni e la mitigazione degli effetti del riscaldamento globale.
Alcune decisioni
Nei primi giorni dei lavori, cominciati il 31 ottobre – pressoché in coda al G20 che si è tenuto a Roma – che terminano il 12 novembre, sono state raggiunte decisioni come l’accordo per ridurre l’uso del carbone per produrre elettricità firmato da una quarantina di Paesi, poi quella di stanziare un fondo da 19,2 miliardi, compresi di investimenti privati, per proteggere le foreste del pianeta e arrestare e invertire il degrado del suolo entro il 2030. Su questo capitolo, l’Unione europea si è impegnata a stanziare risorse per un miliardo, di cui 250 milioni per il bacino del Congo, il secondo “polmone verde” dopo la foresta amazzonica. Inoltre, cento Paesi hanno aderito alla riduzione del 30% delle emissioni di metano entro il 2030. Secondo il rapporto annuale dell’Agenzia Onu per l’ambiente (Unep) il gas metano – le cui emissioni sono prodotte dall’agricoltura, dai combustibili fossili e dai rifiuti – sarebbe “responsabile” del 30% del riscaldamento globale.
I negoziati
Nel susseguirsi dei negoziati, che hanno visto tornare a Glasgow il primo ministro britannico Boris Johnson – il Regno Unito ha la presidenza del summit, co-presieduto dall’Italia – e ribadire ai presenti che “non ci sono scuse per non agire” e – ricorrendo a una metafora sportiva – “siamo vicini alla linea di meta”, sono circolate bozze delle conclusioni finali della Conferenza, con l’ultima che riconosceva tra le altre cose la necessità di tagliare le emissioni del 45% entro il 2030 e chiedeva ai firmatari di adeguare il loro impegno sul taglio delle emissioni entro il 2022, e che per la prima volta in documento Cop citava le fonti fossili (chiedendo alle parti di accelerare la decarbonizzazione e di non sussidiare più i combustibili fossili), mentre Cina e Stati Uniti sono arrivati a un’intesa per il rafforzamento dell’azione climatica.
L’intervista
Sui temi ambientali e sui lavori della Cop26 di Glasgow, Interris.it ha intervistato il co-fondatore e direttore esecutivo del Movimento Laudato Si Tomas Insua.
Come valuta le principali decisioni prese alla Conferenza?
“Tra i frutti della Cop26 ci sono anche degli annunci positivi. I temi principali dell’azione climatica oggi sono quello dell’energia, col 75% delle emissioni di gas a effetto serra che proviene da combustibili fossili come il petrolio, il carbone e il gas, e l’addio all’era delle fonti fossili. Dobbiamo ricordare che non ci sono solo i governi, ma anche tantissimi altri attori come città, realtà religiose e non solo, che chiedono di non investire più nei combustibili fossili”.
Tra le categorie più esposte agli effetti del cambiamento climatico già in corso ci sono i giovani e le comunità locali. Si fa a sufficienza per la loro salvaguardia?
“Purtroppo no e per questa ragione i giovani, come quelli del movimento Fridays for Future, sono molto critici. Con la sua espressione Greta criticava il susseguirsi di vertici che si succedono senza produrre però impegni concreti. Gli impegni vengono presi al futuro, invece abbiamo bisogno di azioni oggi”.
A proposito di azioni, come si possono tenere insieme la transizione ecologica e l’attenzione agli ultimi della Terra?
“L’ecologia integrale al centro dell’enciclica Laudato Si’ consiste proprio nel mettere insieme le necessità ambientali e quelle sociali: curare l’ambiente è curare i poveri. Una transizione giusta è quella che non lascia nessuno indietro. Dobbiamo chiudere con le fonti combustibili fossili e avere l’attenzione di trasferire chi lavora in quel settore e quelle competenze in quello dell’energia pulita. Per un’unità di energia che si produce da fonti fossili, produrre la stessa quantità con le rinnovabili sono crea tre posti di lavoro in più”.
Qual è l’oggetto della vostra petizione “Pianeta sano, persone sane”, di cui siete tra i promotori?
“E’ un appello alle due Conferenze delle Parti, quella di questi giorni a Glasgow e la Cop15 sulla biodiversità che si terrà in Cina ad aprile e di cui parla quasi nessuno. Il nostro obiettivo è sensibilizzare su questo discorso: la crisi della biodiversità, che vuol dire distruzione di ecosistemi ed estinzione di specie viventi, è collegata alla crisi climatica. L’altro obiettivo è quello di chiedere l’implementazione dell’Accordo di Parigi, fermando nuovi progetti per i combustibili e riconoscendo il debito ecologico dei Paesi ricchi. Questi hanno la responsabilità di sostenere i più poveri ad adattarsi al cambiamento climatico”.