Il Terzo settore esiste da decenni. Ma è stato riconosciuto giuridicamente in Italia solo nel 2016. Negli ultimi sei anni la galassia del volontariato ha trovato un proprio inquadramento attraverso la riforma che ne definisce i confini e le regole di funzionamento. A maggio 2022 il Non Profit Lab di Inc (Istituto nazionale per la comunicazione) ha lanciato un’indagine dal titolo “Poveri noi. Il Terzo Settore e la sfida dei nuovi bisogni. Dopo i tre anni che hanno sconvolto il mondo”. Il sondaggio fotografa l’impatto che hanno generato tra gli italiani e nel mondo del non profit crisi inedite ed epocali. Come la pandemia. La guerra nel cuore dell’Europa. E i cambiamenti climatici.
Terzo settore oggi
Si tratta di un survey che rivela quali sono, nel sentire comune, le emergenze più impellenti emerse da queste crisi. E cioè vecchi bisogni, che si sono aggravati. Oppure nuove inedite urgenze. La domanda è stata rivolta all’opinione pubblica attraverso una rilevazione Doxa. E al Terzo settore attraverso un questionario Inc, rivolto agli addetti ai lavori di circa 70 organizzazioni. Per analizzare anche l’impatto della crisi su progetti, comunicazione e raccolta fondi. La ricerca ha ricevuto il patrocinio di Rai per la Sostenibilità– Esg. E i risultati saranno presentati il 14 ottobre alle 11.30 alla sede Rai di viale Mazzini a Roma. In un evento a cura dell’Inc “Non Profit Lab”. Nel volume, accanto ai dati raccolti, trova spazio anche il contributo di alcuni endorser. Sostenitori provenienti dal mondo delle organizzazioni. Con focus specifici su salute Povertà. Infanzia. Ambiente. Ricerca. Diritti umani. Venerdì tra i partecipanti ci sarnno Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia. Ileana Bello, direttrice di Amnesty International. Chiara Cardoletti, rappresentante UNHCR per l’Italia, Santa Sede e San Marino. E altre voci dal mondo del non profit.
Disagio in crescita
Maurizio Gardini è il presidente di Confcooperative. E ha affidato al Censis la mappatura delle nuove povertà. “Il disagio sociale supera i confini della povertà. Conquistando nuovi spazi. Inghiottendo 3 milioni di famiglie. Per un totale di 10 milioni di persone. Mietendo nuove vittime tra coloro che fino a oggi pensavano di esserne al riparo- osserva Gardini-. Undici famiglie su cento hanno una spesa per consumi sotto la soglia di povertà. Almeno 300 mila imprese rischiano di crollare sotto il peso di oltre 300 miliardi di debiti. Rischiando di far ingrossare le file della povertà. Con pesanti contraccolpi per l’occupazione di circa 3 milioni di persone. Una grave situazione a cui dare risposte”. La corsa dell’inflazione e la crisi economica, rileva Avvenire, aumentano in Italia le persone a rischio di povertà. I dati dello studio “Un paese da ricucire” mostrano un allarmante aumento delle situazioni difficili. Le famiglie in povertà assoluta sono 1.960.000. Cioè l’equivalente di 5.571.000 di persone. Mentre sono 2.895.000 le famiglie, 8.775.000 di persone, che vivono in condizioni di povertà relativa.
Working poor
Sono 4 milioni i dipendenti “a bassa retribuzione” nel settore privato. Con una retribuzione annua inferiore ai 12 mila euro. Di questi 412 mila hanno un’occupazione a tempo indeterminato e full time. Aumenta, dunque, il lavoro povero. Percepire un reddito da lavoro dipendente non è più sufficiente a mettersi al riparo dal rischio di cadere in povertà. E da condizioni di disagio dalle quali può diventare difficile affrancarsi. Su 22,5 milioni di occupati, 4,9 milioni (21,7%) svolge lavori “non standard”. Ossia dipendenti a termine. Part time. Part time involontario. Collaboratori. I più colpiti da questa condizione di precarietà economica e sociale sono i giovani. 38,7% nella classe d’età 15-34 anni. Le persone basso livello di istruzione (il 24,9% ha la licenza media). Quelle che vivono nelle regioni meridionali (28,1%). Cresce il lavoro nero. Sono 3,2 milioni gli occupati irregolari. Di questi 2,5 milioni operano nei servizi. 500 mila sono i “falsi autonomi“. E 50 mila i lavoratori delle piattaforme.
Sos falsi pensionati
Sul futuro della tenuta sociale nel lungo periodo pesa la condizione dei pensionati. Nel 2021, secondo l’Inps, il 40% dei pensionati ha percepito un reddito pensionistico lordo inferiore ai 12 mila euro. Se si considerano solo gli importi delle prestazioni al lordo dell’imposta personale sul reddito. Percentuale che è invece del 32% se si considerano gli importi lordi maggiorati delle integrazioni al minimo associate alle prestazioni. Delle varie forme di indennità di accompagnamento. Della quattordicesima mensilità. E delle maggiorazioni sociali associate alle prestazioni.Per quanto riguarda la disuguaglianza di reddito pensionistico, nel periodo 1995-2021 l’indice di concentrazione dei redditi pensionistici è cresciuto di circa il 10%. Attestandosi a 0.35 nel 2021, un valore inferiore a quello delle retribuzioni che è superiore a 0.46.
Allarme disuguaglianza
La disuguaglianza è massima tra le pensioni di vecchiaia dei lavoratori dipendenti del privato (soprattutto maschi). Presumibilmente per la grande variabilità della loro anzianità contributiva. Da un’analisi del ventesimo percentile di reddito pensionistico (fino a 10mila euro nel 2021) emerge che solo il 15% dei pensionati in questa fascia riceve un assegno sociale. E il 26% una pensione al superstite. Quasi il 60% percepisce una pensione di vecchiaia. O anticipata dal fondo pensione dei lavoratori dipendenti. Ciò riflette appunto il fenomeno della cosiddetta “povertà lavorativa“.